Sergio Mattarella, Enrico Letta, Dario Franceschini, Beppe Grillo e anche Mario Draghi, trovare tutti insieme i protagonisti di questo nuovo tempo della politica ognuno con un souvenir di Ciriaco De Mita nel taschino fa venir voglia almeno di fare gli auguri al vecchio capo della Dc. La rubrica di Pino Pisicchio
C’è un uomo politico di alto e lungo lignaggio, che ha da poco più di un mese spento la sua novantatreesima candelina, a cui questa Terza Repubblica deve molto più di quanto non abbia consapevolezza di dovere.
Quest’uomo si chiama Ciriaco De Mita, uno dei capi del sinedrio democristiano negli ultimi decenni del secolo XX, di quelli col gusto del ragionamento e delle frequentazioni nelle biblioteche, leader della “sinistra di Base”, fondata da Marcora nel 1953 e benedetta da Enrico Mattei, una corrente che guardava senza complessi a sinistra della Dc, incontrando lo sguardo non malevolo del Pci.
A De Mita, in un modo o nell’altro, fanno riferimento alcuni dei protagonisti del frammento di Terza Repubblica che stiamo vivendo oggi. Il primo, il più importante di tutti, è il Presidente Mattarella. Sergio Mattarella è stato un esponente di spicco della sinistra democristiana che si riconosceva nella corrente di Base. Politico noto per la sua sobrietà e la sua adesione al galateo istituzionale, ha condiviso con De Mita lo sguardo lungo e la capacità di “leggere” lo scenario, nella consapevolezza che la politica ha le sue regole e che tutti i gesti compiuti non si spengono senza provocare un’onda. Con De Mita condivise, senza sottrarsi al gesto conseguente delle dimissioni da ministro della Difesa nel 1990, la critica radicale alla legge Mammì sul riassetto radiotelevisivo, imposta dal governo con il voto di fiducia.
Il cambio radicale di passo nella scena politica italiana prodotto oggi dal Presidente Mattarella con la scelta di Draghi, se non fa una grinza dal punto di vista della calligrafia costituzionale, reca sicuramente un’eco della sensibilità acquisita in tutta la sua carriera, dunque anche dell’esperienza politica. E che Draghi rappresenti una svolta importante ( la riabilitazione della competenza al governo del Paese dopo anni di diffidenza e di furore giacobino), si capisce leggendo le cronache politiche interne ai partiti, solo per restare alle metamorfosi prodotte da un mutamento che sembra addirittura antropologico. Ma ai lombi demitiani in qualche modo si possono riconnettere anche due Dioscuri di quello che fu il Movimento Giovanile della Dc: Enrico Letta e Dario Franceschini.
Parentele indirette, s’intende, anche per ragioni generazionali: per Letta il collegamento poggia su una militanza nella sinistra Dc al seguito di Andreatta, personalità che sintonica con Moro e, dopo la scomparsa dello statista, in rapporto con De Mita. È più o meno lo stesso anche per Franceschini, che si avvicina alla Dc con la segreteria Zaccagnini, e poi conferma la sua militanza nel quadrante della sinistra dove era egemone De Mita.
Un po’ di De Mita arriva persino a Draghi, per li rami di Gianni Goria, demitiano di ferro e futuro presidente del consiglio (a 44 anni, cosa rara a quei tempi), che lo chiamò a fare il consulente del ministro del Tesoro nel 1983.
E, se proprio vogliamo strafare, dovremmo pure raccontare della simpatia di Grillo nei confronti del vecchio leader democristiano, sotto il cui Regno il comico (all’epoca solo comico) fu protagonista nelle serate della Rai governata dal fedele (demitiano) Agnes. Sicuramente è un caso, e del resto un protagonista assoluto della scena politica nazionale nell’ultima parte della Prima Repubblica quale fu il leader irpino, facilmente incrociava vite e carriere di uomini destinati ad avvenire illustre.
Però trovare tutti insieme i protagonisti di questo nuovo tempo della politica ognuno con un souvenir di Ciriaco De Mita nel taschino fa venir voglia almeno di fare gli auguri al vecchio capo della Dc.