Suscitò clamore la notizia, ormai quattro anni fa, di una compagnia assicurativa giapponese (la Fukoku Mutual Life Insurance) che volle sostituire 34 suoi impiegati con un software in grado di fare lo stesso lavoro delle persone messe alla porta, con un risparmio annuo sugli stipendi di 1,1 milioni di dollari e un aumento della produttività del 30%.
Non va meglio nel mondo legale dove, sempre più studi legali, stanno sostituendo gli avvocati con macchine in grado di redigere atti utilizzando parole e concetti precedentemente già usate dai giudici assegnatari di quelle cause, così da incontrare il loro favore. Ma anche i giudici-robot sono ormai una realtà, almeno in Estonia dove, un pool di esperti, sta lavorando per creare un sistema di intelligenza artificiale in grado di svolgere la funzione di giudice per tutte quelle cause sino a 7.000 euro, liti di cosiddetta poca rilevanza giuridica, che notoriamente intasano le aule di tribunale.
Questi sono solo piccoli esempi premonitori di come l’umanità si avvicini sempre più al punto di non ritorno, con l’intelligenza artificiale capace di realizzare qualsiasi opera creativa, proprio come un essere umano. L’ultimo, in ordine di tempo, è quanto realizzato da Philip M. Parker, docente di Marketing presso la Business School INSEAD e ideatore di un software in grado di scrivere libri su qualsiasi argomento il lettore richieda. Già oggi – ma lo sarà molto più in futuro – il lettore potrà personalizzare la storia che vorrà leggere, decidendo il livello di approfondimento e, in men che non si dica, il computer tirerà fuori un testo scritto da un algoritmo addestrato a ciò.
“Il mondo del lavoro si sta progressivamente trasformando, e con esso anche le professionalità intermedie e i professionisti intellettuali” ha dichiarato Gabriella Àncora, Presidente nazionale di CIU-Unionquadri, Confederazione sindacale presente al CNEL, che tutela i quadri nel settore privato e pubblico, ma anche i ricercatori, i professionisti dipendenti ed il mondo delle professioni intellettuali. “Se, da un lato, è presente la preoccupazione per la sostituzione uomo-macchina, soprattutto in quelle attività dove, istruendo a dovere l’algoritmo, questo è capace di creare contenuti rendendo superflua l’attività umana, dall’altro la tecnologia può dimostrarsi un valido alleato dell’attività professionale piuttosto che un competitor”. Utilizzando ad esempio lo sviluppo attuale della tecnologia è possibile per i professionisti, già oggi, rendere a distanza molteplici servizi. “Bisognerebbe quindi- spiega Ancora- strutturale un dibattito sulla complementarità delle professioni di oggi con la tecnologia di domani”.
Se, da un lato, come osservato da Yochai Benkler, la grande diffusione dei mezzi necessari a produrre conoscenza e cultura (uno su tutti i computer, diventati sempre più economici, insieme all’indispensabile connessione alla rete) ha affrancato ogni cittadino dalla morsa dei pochi detentori della produzione e distribuzione dell’informazione, con tutti i vantaggi che da ciò ne sono derivati, dall’altro la stessa tecnologia ha permesso alle macchine di imparare velocemente attività umane maturate nel corso dei secoli.
“Ma la tecnologia non potrà mai sostituire l’essere umano, come dimostrano le esperienze condotte da OpenAI sulle tecniche di “inganno” dell’Intelligenza artificiale nel riconoscimento automatico degli oggetti: è sufficiente appiccicare un post-it che rimanda al nome di una cosa diversa per far confondere l’algoritmo. Indicativo, a tal proposito, l’esperimento sviluppato dai ricercatori: se, ad esempio, una sega elettrica viene correttamente riconosciuta come tale da sola, se vi si disegna sopra il simbolo del dollaro (applicando semplicemente un foglietto con tale disegno) ecco che l’algoritmo identificherà un salvadanaio” ha continuato Gabriella Àncora.
In sintesi: Giornalisti, scrittori, medici, ricercatori, avvocati, docenti, queste le professioni che rischiano di vedersi sostituire dalla macchina – algoritmo e su cui il legislatore, nazionale o europeo, dovrà intervenire quanto prima per affermare ancora il primato delle risorse intellettuali.