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Quale strategia energetica per il Mediterraneo? I consigli dell’amb. Minuto Rizzo

Conversazione con Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation, che la prossima settimana organizza la due-giorni “Energy Strategies” dedicata alle sfide energetiche nel Mediterraneo (e non solo). Tra tensioni a est e instabilità in nord Africa, ecco il punto dell’ambasciatore sugli interessi dell’Italia

La stabilità del Mediterraneo passa per la sicurezza energetica, per dossier intricati su cui l’Italia può farsi promotrice di un nuovo approccio europeo, volto alla creazione di un mercato più integrato con la sponda sud. Parola dell’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation, che mercoledì e giovedì prossimi organizza l’evento “Energy Strategies” per discutere alcune tra le principali sfide alla sicurezza energetica nel Mediterraneo (e non solo).

Quanto conta l’energia negli affari internazionali?

Conta molto. È un tema che finisce sotto i grandi riflettori di rado, magari quando una nave da guerra di un altro Paese impedisce perforazioni da parte di attori nazionale. Tuttavia, è un tema di importanza costante, soprattutto nel Mediterraneo, dove si registrano rapporti non strettissimi tra la sponda europea e quella nord africana. L’energia può essere in tal senso un fattore di unificazione, o quanto meno di complementarietà.

Ci spieghi meglio…

Dal lato dell’offerta, è in corso un complessivo processo di diversificazione delle produzione energetica, che vede in nord Africa un aumento delle rinnovabili, con investimenti nel solare per cui cito, a titolo d’esempio, l’idea forse eccessiva di una sorta di enorme giacimento solare nel Sahel. Dal lato della domanda, l’Europa continua a essere un forte consumatore di energia, e la diversificazione degli approvvigionamenti (affinché non arrivino solo da Russia e Algeria) non può che essere positiva.

Perché?

Per almeno tre elementi. Primo, per lo sviluppo economico dei Paesi offerenti. Secondo, perché significherebbe avere energia più verde, meno basata sui combustibili fossili. Terzo, perché intensificherebbe la cooperazione tra i Paesi dell’aerea attraverso il completamento di linee energetiche, contribuendo così alla stabilità complessiva.

C’è un ruolo in questo discorso per la Nato?

Direi di sì. La sicurezza energetica è un concetto interpretabile in tanti modi. Quando ero alla Nato, era intesa prima di tutto come sicurezza degli impianti (intesi come mezzi fisici di produzione) contro minacce dall’esterno o attacchi terroristici. C’è poi la sicurezza delle vie di comunicazioni, comprese le navi addette al trasporto di gas naturale, un tema che tratteremo per il Mediterraneo, ma che riguarda chiaramente altri bacini, in particolare il Golfo persico. Infine, c’è la sicurezza degli approvvigionamenti, per poter disporre di abbastanza energia a costi accettabili per tutti. La Nato tiene d’occhio chiaramente tutti questi elementi, pur senza avere competenza diretta.

Un po’ come avviene per il cambiamento climatico, ormai parte del processo di riflessione strategica Nato 2030. È così?

Sì. Ci si sta accorgendo finalmente che le sfide tradizionali restano, ma anche che se ne aggiungono altre un po’ diverse. Il cambiamento climatico produce effetti a lungo termine, con implicazioni rilavanti nel campo della sicurezza. Cito spesso il caso della costruzione da parte dell’Etiopia di una grande diga sulle prime acque del Nilo Azzurro, un progetto visto con grande timore dall’Egitto, che vive di quelle acque e che è arrivato a minacciare guerra per questo.

Il terzo panel del vostro evento proverà a capire come creare un “more integrated Euro-Mediterranean energy market”. Secondo lei l’Italia può esserne promotrice?

Se c’è una cosa evidente, è che Italia è l’unico Paese al centro del Mediterraneo. Con l’unica eccezione di Spagna-Marocco, è il Paese più vicino alle altre coste, dalla Tunisia (per cui c’è un progetto serio di collegamento fisso con la Sicilia) ai Balcani. Anche senza citare il Tap, tra Grecia e Italia c’è un elettrodotto che risale a circa 15 anni fa, mentre Terna collega Montenegro e Marche. E c’è molto altro, a dimostrazione della centralità del nostro Paese nelle questioni energetiche del Mediterraneo.

Intanto nella parte orientale del Mediterraneo si sono vissuti mesi caldi tra Grecia e Turchia, anche per questioni energetiche…

Lì la questione è più complessa, e non è prettamente energetica. Oltre il ritrovamento di grossi giacimenti di gas naturale davanti a Egitto, Israele e Libano, la grossa questione è su Cipro. Ma non è energetica, quanto politica. Ankara rivendica la sovranità su quei giacimenti perché ritiene di avere un diritto naturale su quelle acque. Il problema è politico, e credo che non sarà facile risolverlo.

Torniamo all’idea di un “mercato mediterraneo” più integrato. Cosa manca per coinvolgere maggiormente la sponda sud?

Manca a mio avviso la cooperazione regionale tra gli Stati di quella sponda. C’è l’Unione del Maghreb arabo, ma i Paesi appaiono ancora molto separati. Una maggiore cooperazione sarebbe auspicabile, magari proprio attraverso infrastrutture energetiche in comune.

L’attenzione della Nato su questo può migliorare?

Sicuramente sì. Ci sono diversi partenariati. Ma io credo che la Nato nel complesso non dedichi l’energia e le risorse che sarebbero necessarie per il cosiddetto fronte sud. L’Alleanza dovrebbe trovare il modo di dare maggiore sostanza alle iniziative in atto, oltre il mero valore di simbolico o di rappresentanza politica.

E l’Unione europea?

La storia del Mediterraneo continua a rimanere complicata. Ci sono tanti attori e interessi diversi. A parte il periodo coloniale, in realtà non c’è mai stata una vera e propria priorità europea verso il nord Africa. Ci sono anche iniziative dell’Ue, ma si potrebbe fare ancora di più. Certo, servirebbe prima di tutto un ampio consenso politico.


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