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Merkel a tutto gas (russo). Così il North Stream 2 divide la Germania

Di Lorenzo Mesini

A Berlino avevano preso la nomina a segretario di Stato di Blinken come segno di distensione, non è così. Gli Usa vogliono interrompere il gasdotto russo North Stream II. Che intanto divide la politica tedesca, dalla Cdu ai Verdi. Sarà l’ultimo grande banco di prova di Merkel. L’analisi di Lorenzo Mesini

Durante la recente missione ufficiale a Bruxelles il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha ribadito con decisione la contrarietà degli Stati Uniti circa il completamento del gasdotto North Stream 2. L’opera – aveva dichiarato Blinken la settimana precedente – rappresenterebbe un “cattivo affare” per la Germania, per l’Ucraina e per gli alleati europei degli Stati Uniti.

Contrariamente alla narrazione promossa in Germania, secondo cui il progetto sarebbe il frutto di una iniziativa essenzialmente commerciale condotta da imprese private senza finalità politiche, il Segretario di Stato ha ribadito che l’opera è parte di un “progetto geopolitico russo rivolto a dividere l’Europa e indebolirne la sicurezza energetica”.

Tutte le imprese coinvolte nel completamento dell’opera sono state invitate ad abbandonare i lavori per evitare una nuova serie di sanzioni da parte degli Stati Uniti. Sanzioni che attualmente godono di un ampio consenso bipartisan all’interno del Congresso che preme su Biden per un approccio più duro nei confronti di Mosca.

Le dure critiche di Blinken colpiscono la Germania in corrispondenza delle recenti tensioni con la Russia e del duro confronto americano con la Cina andato in scena al summit di Anchorage.

L’ostilità americana nei confronti del progetto russo-tedesco – il cui completamento è previsto per settembre – non è tuttavia una novità. Non si tratta infatti di un incidente riconducibile alla degenerazione del rapporto transatlantico verificatosi sotto la presidenza Trump.

Tutte le precedenti amministrazioni americane si erano dichiarate contrarie a un gasdotto che avrebbe rafforzato i legati tra Berlino e Mosca, a discapito di Ucraina e Polonia. Autorevoli esponenti politici del partito democratico e repubblicano (come John McCain e Joe Biden) si erano più volte espressi contro il gasdotto.

Lo stadio avanzato dei lavori (giunti al 95%) e l’insediamento della nuova amministrazione americana hanno alimentato le speranze di tutti coloro che in Germania hanno sostenuto con convinzione l’opera, a partire dalla Cdu di Angela Merkel e dalla Spd.

A Berlino la nomina di Blinken a Segretario di Stato era stata letta come il segnale di un possibile compromesso positivo tra alleati. Agli attenti politici e analisti della Cdu non era infatti sfuggito un dettaglio poco noto al pubblico. Nel 1987 il giovane Blinken aveva infatti dedicato un libro alle sanzioni commerciali imposte nel 1981 dall’allora Presidente Ronald Reagan a un nuovo gasdotto che collegava la Siberia all’Europa occidentale (Ally Versus Ally: America, Europe, and the Siberian Pipeline Crisis, Greenwood Press).

Trent’anni fa Blinken aveva fornito una valutazione negativa delle sanzioni commerciali americane e concludeva che era meglio per gli Stati Uniti coltivare i propri legami politici con l’alleato tedesco. La visita di Blinken a Bruxelles ha tuttavia dissolto ogni dubbio circa la possibilità di un rapido compromesso con gli Stati Uniti prima della conclusione dell’opera. La sovranità energetica della Germania – che il gasdotto contribuirebbe a rafforzare – presenta infatti un valore eminentemente politico che è stato spesso trascurato nel dibattito interno tedesco, prevalentemente improntato da considerazioni di carattere tecnico e commerciale (come sottolinea un recente paper della Stiftung Wissenschaft und Politk di Berlino).

Gli ultimi sviluppi del confronto transatlantico su North Stream 2 ci ricordano tuttavia quanto sia difficile superare in termini puramente economici gli imperativi geopolitici di lungo corso delle grandi potenze. Gli Stati Uniti hanno sempre contrastato l’ascesa di una potenza economica continentale quale la Germania capace di dialogare autonomamente con Russia e Cina.

Le tensioni tra Germania e Stati Uniti ci ricordano inoltre quanto sia centrale il rapporto tra fattori nazionali e internazionali all’interno delle grandi sfide politiche che oggi interessano l’Europa. La partita finale su North Stream 2 si inserisce infatti all’interno delle crescenti difficoltà incontrate dalla Cdu nel momento dell’imminente uscita di scena della Merkel.

La cancelliera si trova infatti ad affrontare una combinazione inedita di crisi sul fronte domestico che indeboliscono la  sua posizione sui principali dossier internazionali: la crisi epidemica e le difficoltà organizzative incontrate durante la campagna vaccinale, lo scandalo per corruzione che ha colpito svariati esponenti della Cdu, l’esito delle ultime elezioni regionali e l’ascesa dei Verdi.

Questi ultimi sembrano ormai destinati a diventare uno dei principali azionisti della prossima coalizione di governo e hanno sempre espresso la propria contrarietà al raddoppio di North Stream. I Verdi mettono radicalmente in discussione l’approccio seguito da Merkel e dalla Cdu nei rapporti con la Russia, approccio basato sulla netta distinzione tra il dossier energetico e quello politico (Ucraina, Bielorussia, caso Navalny).

Al contrario i Verdi osteggiano fortemente tanto i rapporti energetici ed economici con la Russia (per motivi di politica ambientale) quanto quelli politici (per la violazione dei diritti e delle libertà individuali). Anche per queste ragioni il partito ecologista tedesco sta acquisendo sempre maggiore credito e attenzione a Washington.

Merkel era riuscita a coniugare un approccio idealista sui diritti e sulla democrazia con un approccio pragmatico in materia economica ed energetica. Il difficile equilibrio conseguito tra le diverse esigenze presenti sul fronte interno e la collocazione internazionale della Germania risulta sempre più difficile da sostenere nell’attuale contesto politico.

Alle difficoltà interne della Cdu si sommano inoltre le sfide cruciali che vedono impegnata la cancelliera sul piano europeo, la cui soluzione è tutt’altro che scontata. La crisi generale di fiducia che si verifica in Germania rende molto difficile per Merkel intestarsi pienamente la leadership europea, come in passato, sulle indispensabili riforme economiche europee (superamento patto di stabilità, unione bancaria, mercato unico dei capitali, eurobond).

La sospensione della ratifica finale del Recovery Plan da parte della corte costituzionale di Karlsruhe è un chiaro segnale delle difficoltà tedesche ad affrontare in maniera creativa e costruttiva l’attuale fase di transizione a livello globale. La fine dell’era Merkel accresce il rischio che la Germania ceda alla tentazione crescente di concentrasi sul fronte domestico, distogliendo lo sguardo dalle difficili decisioni che l’Ue sarà chiamata a prendere nel prossimo futuro.

Cdu ed Spd si sono impegnate a difendere – fino ad ora con successo – l’infrastruttura dalla marcata opposizione di Washington, di Kiev e della Ue presso cui gli Stati dell’Europa orientale contrari al progetto hanno avanzato le proprie ragioni, prima fra tutti la Polonia.

North Stream2 ha fatto emergere come la partita sulla sovranità energetica europea si scontri sia con una pluralità di interessi divergenti all’interno della stessa UE e sia con la stessa collocazione internazionale della Germania. Il tentativo di discutere la questione sul più ampio piano europeo – offrendo maggiori garanzie alla Polonia e coinvolgendo l’Ucraina nella più ampia strategia energetica e ambientale europea – non sembra aver assicurato maggiore coesione all’Ue (come invece suggeriva la Konrad Adenauer Stiftung a fine 2019).

Più in generale non possiamo scordare che nella storia l’acquisizione di sovranità non è mai avvenuta in maniera indolore ma ha sempre comportato un prezzo, più o meno elevato, in termini politici, economici o di vite umane. Se la minaccia di ulteriori sanzioni è rivolta a limitare il rafforzamento della sovranità energetica tedesca, oggi si pone il problema di quanto questo obiettivo sia compatibile con la più volte dichiarata intenzione americana di rafforzare i rapporti transatlantici in funzione antirussa e anticinese.

Il rapporto che unisce storicamente Russia e Germania è tuttavia difficile da sottovalutare e non può essere cancellato con un tratto di penna. Il Presidente della Bundesrepublik aveva dichiarato in una intervista rilasciata nel mese di febbraio che la Germania è chiamata a mantenere aperto un ponte tra la Russia e l’Europa. Il prossimo 22 giugno ricorrono infatti 80 anni dall’inizio dell’offensiva tedesca contro l’Unione Sovietica (operazione Barbarossa) che ha scatenato il più esteso e violento conflitto tra potenze terrestri nella storia dell’umanità.

Per tutte queste ragioni i prossimi mesi saranno particolarmente impegnativi e il futuro del gasdotto dipenderà dalla sua capacità della Germania di governare le crescenti contraddizioni legate alla sua collocazione internazionale.

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