Intervista con Ian Lesser, vicepresidente del think tank German Marshall Fund, che commenta la ministeriale Nato e il contemporaneo viaggio di Lavrov in Cina
Nelle stesse ore in cui il segretario di Stato americano Antony Blinken atterrava a Bruxelles per la sua prima ministeriale Nato, il capo della diplomazia russa Sergej Lavrov raggiungeva la città di Guilin, nel Guangxi, per incontrare il suo omologo cinese Wang Yi. I due hanno mandato chiari messaggi all’Occidente, respingendo le pressioni da Washington e puntando a collaborare contro le sanzioni “illegittime” imposte dagli Stati Uniti e dai loro alleati con tattiche “distruttive” proprie “della guerra fredda”.
È questo il clima? Formiche.net ne ha parlato con Ian Lesser, vicepresidente del think tank statunitense German Marshall Fund, a capo della sede di Bruxelles. Secondo l’esperto “non è affatto casuale” quel viaggio di Lavrov.
Stiamo andando verso una sfida tra democrazie e regimi?
Possiamo dire così in termini di competizione ideologica. Ma il confronto con la Russia e quello con la Cina sono diversi.
Come mai?
Il confronto con la Russia riguarda alcune questioni importanti, in particolare legate alla sicurezza, come il nucleare e il Baltico per esempio. Ma non è una sfida sistemica. Anche perché la Russia è un attore regionale.
E con la Cina, invece?
La Cina è un attore globale con slancio e aspirazioni in linea con questo. Perciò la sfida è sistemica. È per queste ragioni che non siamo in una nuova guerra fredda: siamo in più guerre fredde.
Ciò significa anche che i due rivali sono distinti? Il viaggio di Lavrov non dimostra la possibilità di una pax sinica?
Russia e Cina rappresentano un’asse forte nella sfida al sistema globale e alle istituzioni multilaterali modellate dall’Occidente. Per questo c’è una convenienza nella loro collaborazione. Che certo può durare, ma ci sono diversi temi che dividono Mosca e Pechino. Senza dimenticare quanto detto prima, cioè che la Russia è un attore regionale, mentre la Cina è un attore globale. È una relazione asimmetrica, dunque complessa e complicata.
Stati Uniti e Unione europea nelle ultime settimane, aiutati anche dalla postura assertiva di Pechino, sembrano pensare a una strategia comune – seppur con differenze – nel confronto con la Cina. E con la Russia, invece? Può essere utile un approccio diverso?
Questo enigma non è affatto nuovo all’interno dell’Allenza atlantica. Anche nella precedente guerra fredda c’erano discussioni e tensioni simili a quelle attuali. Pensiamo al gasdotto Nord Stream 2, su cui il segretario di Stato americano Blinken nei giorni scorsi è stato molto chiaro. Anche negli anni Ottanta il gas russo era tema di divisione dentro la Nato. C’era chi pensava fosse un modo utile di engagement, chi avvertiva di rischi di destabilizzazione. Anche oggi, sia con la Russia sia con la Cina, ci saranno differenze di vedute.
E se la Russia finisse completamente in mani cinesi?
Sembra esserci una sorta di inevitabilità in questa idea. Quasi che si possa riproporre qualcosa di simile a quanto teorizzato da Henry Kissinger con l’Unione Sovietica e la Cina, ma a parti invertite. E per quanto detto prima, la risposta naturale a questo è rilanciare il rapporto transatlantico e rafforzare le alleanze con Paesi like-minded nell’Indo-Pacifico che India, Australia e Nuova Zelanda.