Tutti alla ricerca del Sacro Graal centrista. La cosa curiosa è che questa sarebbe l’area politica da numeri da Dc prima maniera, a condizione che a identificarla ci fosse l’unica persona che non potrà farlo. Chi? Mr. Mario Draghi, of course. La rubrica di Pino Pisicchio
In fondo Draghi ha rappresentato per alcuni partiti anche la soffice coltre della necessità con cui coprirsi, per tenere a distanza l’inevitabile resa dei conti. O almeno per alcuni più di altri.
Scorriamo i sondaggi che circolano e qualche conferma la troviamo. Per esempio la sommatoria dei voti dell’area che, con una qualche pigrizia concettuale, ci ostiniamo a definire di centro sinistra. Pd+Cinque Stelle+ sinistra+Renzi = a stento 41%. A fronte di Lega+ Fi + FdI+ varie e minori che fa oltre 50% (Pagnoncelli, 27/febbraio).
Ammesso, e concesso con dubbio, che l’arcaica classificazione destra/sinistra continui ad essere valida, se si andasse al voto adesso il campo dei “conservatori” darebbe, dunque, qualche lunghezza di svantaggio al “campo progressista”. È una buona ragione per tenere lontano il più possibile l’ineluttabile, dal punto di vista dei candidati a soccombere. Sennonché questo governo, se da un lato pratica una sorta di crioterapia alla politica, congelando la fase nell’inferno del Covid-19, dall’altro predispone un alacre lavorio di scomposizioni e ripartenze.
Tutti alla ricerca del Sacro Graal centrista. Saltano i teoremi vetero sinistrorsi di Bettini, profeta neoplatonico dell’alleanza organica Pd/Cinquestelle/Leu, che, non solo non sembra avere messo in conto il sentiment nazionale-perché per governare è ancora necessario mettere insieme i numeri e quelli, in tutta evidenza senza altri consistenti apporti non ci stanno – ma continua a considerare come costola della sinistra il popolo del Movimento Cinque Stelle.
Che, con Di Maio, pone la sua Opa sul Graal e con qualche argomento. Infatti sbaglia chi pensa di liquidare il discorso “moderato” del ministro degli Esteri come un’affabulazione a beneficio dei media, ritrattabile alla bisogna, almeno quanto sbaglia chi prova ad appiccicare arcaiche categorie interpretative al fenomeno pentastellato. Il popolo che ha votato Cinque Stelle è, parlando per categorie sociologiche, piccolo borghese, almeno nella sua fetta maggiore.
Impiegati dello Stato, casalinghe, giovani in cerca di occupazione stabile, piccoli commercianti, un universo umano divenuto antagonista per estenuazione, mentre annegava nell’onda infinita della crisi, ma che resta culturalmente più vicino all’ascolto di una suggestione sul modello moderato piuttosto che al richiamo della rivoluzione. Le stesse biografie delle personalità rilevanti del Movimento combaciano più con lo skill del borghese piccolo piccolo che con quelle del Che Guevara de’ noantri. E Di Maio questo lo ha capito da subito, collocando se stesso, in compagnia di Conte neo-benedetto da Grillo, nel quadrante istituzionale del Movimento. Le parole d’ordine scandite nell’intervista a Repubblica: europeista, liberal-democratico, moderato, sono, prima ancora che una rivoluzione politica, una seduta psicanalitica collettiva, che ha come obiettivo lo scavo dell’io profondo. In una operazione in cui certamente viene messa nel conto la perdita di un pezzo guevarista, nella certezza, però, che, con ciò che resta, può essere ricostruita una identità politica con la vocazione di governo.
Il Sacro Graal vede anche alcuni Indiana Jones in piena attività scoutistica: Renzi e gli eredi di Berlusconi, per esempio, e Calenda, forse destinati ad un sodalizio necessario per sopravvivere. Insomma parecchia gente. La cosa curiosa è che questa sarebbe l’area politica da numeri da Dc prima maniera, a condizione che a identificarla ci fosse l’unica persona che non potrà farlo. Chi? Mr. Draghi, of course.