Due giorni di tempesta hanno stracciato le strade dalle carte geografiche, e il Saltfjellet è rimasto chiuso. Fino a queste strane giornate ho sempre considerato la lingua italiana più povera perché usa la stessa parola, tempo, sia per l’orologio che per il cielo. Invece siamo avanti perché a queste latitudini il tempo che scorre sul quadrante è strettamente correlato con quello che corre in cielo
12 marzo, 1010, Saltfjellet, Circolo Polare Artico
Non c’è nulla di più naturale di questa linea che scandisce il tempo del nostro pianeta, tracciando sul mappamondo il tempo delle stagioni. Qui sul Saltfjellet scorre poco a sud del passo, attraverso un paesaggio di zucchero a velo che vola sull’asfalto formando strisce veloci che corrono verso il tramonto perenne. La E6 è l’unica alternativa per raggiungere il nord della Norvegia senza passare per la Svezia, che è lì, pochi chilometri più a est, ma chiusa, o usare la via marittima, che è lì, pochi chilometri sotto, più a ovest. A questa latitudine onirica la Norvegia è larga pochi chilometri di inverno.
Avremmo dovuto essere qui ieri, o forse anche l’altro ieri, ma tutto sommato poteva anche essere domani. Due giorni di tempesta hanno stracciato le strade dalle carte geografiche, e il Saltfjellet è rimasto chiuso. Fino a queste strane giornate ho sempre considerato la lingua italiana più povera perché usa la stessa parola, tempo, sia per l’orologio che per il cielo. Invece siamo avanti perché a queste latitudini il tempo che scorre sul quadrante è strettamente correlato con quello che corre in cielo, ed a sua volta allo spazio, come sottolineò Einstein sorridendo.
Non è a caso che a nord di Trondheim, dopo un arco di legno che ti dà il benvenuto nella Norvegia del nord, non ci si preoccupi più di segnare nemmeno le distanze. C’è solo un numero che conta, E6, quella linea antropica nera e gialla tra bianche cascate di ghiaccio. E la E6 appartiene a loro, i camion, che imperterriti ci fanno compagnia da 4 giorni, autoarticolati lanciati sempre e comunque a ogni latitudine, qui in testa a una nuvola di neve, gomme da arrampicata, 90 all’ora sempre e comunque, con o senza mascherina, fermati solo dal vento perché la pandemia non li sfiora nemmeno. Sono marinai di terra, quasi insensibili alle geografie solide, vittime solo delle bizzarrie fluide, l’orizzonte come lavoro, la natura come ostile impedimento a cui però ben si sa non si può metter fretta.
L’impaziente ha poca comprensione in e da queste terre e questi mari. Se la strada è aperta e il mare è calmo bene, se soffia c’è il porto o il caffè, si aspetta. Amen. È una lotta costante e tutto vale, e la tecnologia aiuta i marinai di terra e mare con una descrizione del presente perfetta e una previsione del futuro statistica di rara affidabilità, ma comunque sia tutto si trascina sotto il tempo, quello atmosferico, che snobba quello al tuo polso, e si fa beffe della tua fretta, dei tuoi desideri e delle tue distanze.