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Contro la pandemia serve la “giubba del re”, non bolsi testimonial. La ricetta di Tremonti

L’ex ministro dell’Economia sulla gestione dell’emergenza sanitaria, dall’errore grave di non aver accentrato i poteri nello Stato (la “giubba del re”) ignorando la Costituzione, alla necessità di affidare il coordinamento territoriale ai prefetti, per evitare soluzioni “folkloristiche”. E sullo stop ai vaccini…

Professor Tremonti, a un anno dal primo lockdown, a che punto siamo nella gestione dell’emergenza sanitaria?

È stata da subito stracciata “la giubba del re”, il simbolo popolare e secolare in Italia dello Stato. La sera di sabato 7 marzo, in diretta su Rete4, avendo qualche vissuta conoscenza del Titolo V della nostra Costituzione (una riforma che noi non votammo), dichiarai che andava applicato l’articolo 117, secondo comma, lettera q: nella ripartizione di poteri tra Stato ed enti locali, prevede per il caso di “profilassi internazionale” la competenza esclusiva dello Stato. La stessa architettura si trova nel trattato dell’Unione che che trasferisce verso l’alto la competenza in materia di “grandi flagelli che si propagano oltre frontiera” (art. 168).

Questo approccio è stato riconosciuto dai costituzionalisti?

Non mi risulta che l’idea della competenza nazionale esclusiva in materia di profilassi internazionale abbia avuto un qualche seguito “scientifico” eppure è un principio stabilito e finalmente ribadito dalla nostra Corte costituzionale. Che la gestione di una pandemia vada oltre il campo sanitario per estendersi ad esercizi ed edifici pubblici, ai confini nazionali, è un’idea non compresa da una vasta parte delle nostre classi “intellettuali”. Impegnate a teorizzare il passaggio di potere dallo Stato alle regioni, dai governatori ai sindaci. Legittimati – si fa per dire – dal consenso elettorale. Abbiamo assistito a una tragica confusione tra preparazione e improvvisazione, tra sostanza e forma, tra costituzione e televisione.

Quali sono state le conseguenze di questo pasticcio istituzionale?

Il caso più noto è quello di Bergamo e della Val Seriana. Per mesi un crescendo di contenzioso tra  una sfuggente presidenza del Consiglio, un onnipresente ma in gran parte incompetente ministero della Salute, regioni, comuni, eccetera. Si trattava di determinare chi aveva l’obbligo di imporre la zona rossa. Credo che dopo la sentenza della Corte costituzionale, che definisce in assoluto la competenza statale, oltre ai conflitti emergeranno enormi problemi di responsabilità.

La linea del nuovo governo la convince?

Al principio mi è sembrata molto positiva l’enfasi sui vaccini, parte essenziale del discorso programmatico. Da allora è passato un mese, in una fase storica in cui il tempo è strategico, in cui un giorno non vale un giorno ma molto di più. Francamente non mi pare emergano segni di quella che era identificata come una necessaria e urgente discontinuità. Anzi vedo la moltiplicazione e la divisione di uffici; la proliferazione delle figure salvifiche, queste per certi versi anche folkloristiche; la scelta di datati testimonial con ascendente marginale persino sui nonni. Non solo c’è stata l’estate persa, oggi c’è il rischio che si perdano insieme il futuro e il presente.

Che ne pensa della scelta di schierare l’esercito?

Non è il mio mestiere, ma ho sentito dell’impegno militare, inteso come parte dominante e risolutiva. In base ai numeri che conosco, però, è la somma che non fa il totale. Su 40-50 milioni di persone da vaccinare, credo che le unità di personale militare siano poche migliaia. Naturalmente sarebbe positivo ricevere informazioni diverse.

Qual è la sua soluzione?

Il ritorno alla “giubba del re”. Ma per fare questo esercizio è il caso di tirare fuori dai cassetti due essenziali mappe dell’Italia. Quella politica, la costituzione, e quella geografica. Riguardo alla prima, noto per inciso che non solo è stato violato-disapplicato l’art. 117, ma viene irresponsabilmente ignorato l’art. 32 ultimo comma, sulla salute come diritto dell’individuo ma anche come interesse della collettività.

Chi può rappresentare la giubba del re?

Quanto segue è solo una ipotesi. Ma che forse potrebbe essere oggetto di un’analisi sistematica. Fuori dalle grandi aree metropolitane, la popolazione italiana si distribuisce in 7.900 comuni raggruppati in 107 prefetture. È questa, non per caso e da secoli, la struttura istituzionale e materiale del nostro paese. Forse i cittadini di Milano e Roma non sanno dov’è il palazzo della prefettura. Ma nel vasto resto d’Italia è l’opposto. È un palazzo con fuori le bandiere, il luogo che tutti conoscono e in cui si riconoscono: cittadini, amministratori, operatori. Basta un colpo di telefono dalla prefettura perché tutti quelli che hanno una funzione pubblica o privata scattino sull’attenti.

Che possono fare i prefetti?

Per citare il metodo McKinsey, che va molto di moda, non è sufficiente definire un piano, è necessaria la execution, la messa a terra. Lo Stato, che ha tutte le informazioni necessarie, deve sviluppare il piano anti-pandemico in un software comune per tutti, ma l’execution va seguita sui territori. E qui le prefetture possono unire e coordinare tutti i soggetti coinvolti. Dal volontariato alle imprese, dalle asl alle associazioni di settore e, se presenti, le unità militari.

Questo tentativo di organizzazione organica, l’unica che abbia qualche chance di successo, è contraddetta ogni giorno dal federalismo regionale. 21 sistemi di vaccinazione, vari sistemi di acquisto. In comune c’è solo la burocrazia, fatta da 11 fogli da firmare per singolo vaccino. Se Luigi Einaudi scriveva “Via il prefetto!”, io oggi direi l’opposto, “viva il prefetto!”

Classi dirigenti come quelle dei prefetti non si trovano più?

L’arte di governo non si improvvisa, si conosce grazie a lunghi tratti di esperienza. Non per caso ma pour cause, nella Repubblica di Platone, la politica è Politikè téchne, la superiore forma della tecnica. Per fare politica devi conoscere la struttura della nave, l’equipaggio, i fondali, le correnti, i venti, le stelle. Diversamente, vai verso sicuro naufragio. Tecnico, naturalmente.

Cosa pensa dello stop & go su AstraZeneca?

Nel giugno dell’anno passato l’Europa si è messa dal lato giusto della storia con gli eurobond. Un’idea assolutamente europea di Delors (1993) poi, se posso, mia nel 2003 e nel 2010. Questo grande investimento politico è contrastato dagli errori fatti sul piano di investimento sui vaccini: un’assoluta incapacità tecnica sul piano contrattuale che vede il soggetto più forte, l’Unione, prigioniero del soggetto più debole, multinazionali che hanno agito come gli Orazi e i Curiazi. Una presidenza di turno europea, quella tedesca, che ha violato i doveri di neutralità che sono propri della carica. Il rischio è che il danno sia stato fatto e sia irreversibile. Il passaggio dal bene al male. Dai vaccini al sottile veleno della sfiducia popolare.

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