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Papa Francesco e il sogno di pace in un Iraq martoriato dalla guerra

Di Francesco de Notaris

Papa Francesco ha chiesto “perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà” in Iraq. Nel 2002 una delegazione parlamentare per la pace si era recata nel Paese. Francesco de Notaris, componente della delegazione, racconta l’esperienza

Papa Francesco è in Iraq. Finalmente realizza in modo creativo ed originale il sogno di Giovanni Paolo II che voleva recarsi in quel Paese. Occorrerebbe un serio approfondimento sul tema della pace, parola abusata, usata anche per giustificare guerre di ogni tipo e non soltanto quelle combattute con le armi convenzionali.

Il 20 Marzo 2003 una coalizione di Paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Polonia ai quali si aggiunsero altri Stati) iniziò l’invasione dell’Iraq e poi la guerra, i bombardamenti, la distruzione.

Ci sarebbero state “ armi di distruzione di massa”, disse George W.Bush, allora Presidente degli Stati Uniti, per motivare l’attacco. Non ne hanno mai trovate.

Qualcuno voleva portare la democrazia con le bombe. Volevano il petrolio.

Non tutti i nostri concittadini che venivano esortati ad essere orgogliosi per la democrazia da introdurre in Iraq sanno che dal primo al 6 Dicembre del 2002 una delegazione parlamentare italiana per la pace si recò in Iraq con un mandato politico: “Noi siamo a favore di una soluzione diplomatica che preveda il disarmo e l’osservanza degli obblighi dell’Iraq di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Esistono ragioni politiche, perché la guerra non ci sia…”.

Viaggio di 6 ore, in zone pericolose a bassa quota. Qualcuno temeva qualche missile “intelligente” di nazionalità… sconosciuta: occasione prossima per la guerra.

Della delegazione facevano parte rappresentanti di “Un ponte per”, dei “Beati costruttori di pace”, di “Pax Christi”, di “Aprile”, del “Comitato per i diritti umani”, di “Ies”, della “Fiom”, di “Intersos”, del “Consiglio internazionale social forum”, di “Libera” e del gruppo “Abele”, della “Rete di Lilliput”, del “Coordinamento comasco per la pace”, i Parlamentari Di Siena, De Zulueta, Pisa, Rotondo, Battisti, Cento, De Petris, Deiana, De Simone, Pagliarulo e gli ex Parlamentari La Valle e de Notaris.

La delegazione incontrò autorità e colloquiò con rappresentanti di istituzioni e di organizzazioni varie per onorare il mandato. Anzitutto all’ospedale pediatrico di Baghdad.

Bambini con leucemia, cancro, malformazioni erano stesi su barelle, assistiti dalle mamme con stracci imbevuti di acqua. Spettacolo insopportabile vederli senza medicine, aspirine, chemioterapici: 130 morti ogni 1000 nati. Bloccato da Berlusconi, ministro degli Esteri ad interim, un programma per aggiornamento per pediatri iracheni in Italia.

Poi incontrammo il Vescovo Warduni, vicario del Card. Bidawid.

L’incontro con il Presidente del Parlamento e dei responsabili delle Commissioni per la cultura, la sanità, la religione si fece serrato. Le autorità di quel Paese affermarono che gli ispettori dell’Onu in 276 missioni su 3292 siti con monitoraggio su 675 in otto anni nessuno trovò armi di distruzione di massa.

Ricordo di avere notato in Parlamento un richiamo all’Italia con la raffigurazione della “Pietà” di Michelangelo.

La delegazione visitò scuole, andò all’Università, parlò con studenti e rettori.

Visitammo il “Rifugio”. Era uno stanzone con luce a cielo aperto. Sui muri impronte marcate. Fu la tomba di 400 giovani, fusi dall’altissima temperatura di un missile “intelligente” caduto su di loro mentre erano riuniti in festa.

Divertente il Signor Gregorich, Ispettore e Direttore di una base operativa dell’Onu.

Ci disse di non avere trovato armi proibite ed era rammaricato per aver trovato escrementi di piccioni nella Sede che li ospitava.

Il Signor Dubois responsabile delle Nazioni Unite per lo sviluppo dell’Iraq concluse la sua relazione affermando: “Non vorrei essere il padre di un bambino iracheno”.

Kati Kelli, americana, dal 1991 lavorava per i bambini con una scuola di musica e di balletto per combattere “il congelamento delle emozioni”. Erano troppi gli orfanatrofi, gli ospizi per gli anziani, i malati, i morti.

“Per l’inquinamento non è possibile pescare o mangiare frutta e datteri. Se ci sarà la guerra non potranno essere distribuiti ceci e fagioli né vaccinare i bambini” . Così disse un dirigente politico che rifletteva, passeggiando su un ponte del fiume Tigri, sulla follia della guerra, negazione dell’umanità, della politica, della diplomazia. Intanto marcivano nel deserto i vecchi carri armati americani della Guerra del Golfo del 1991.

“Gli occhi vedono, ma le mani sono corte”. È un vecchio detto iracheno con il quale mons. Warduni accolse la delegazione e subito aggiunse:” Se non avessimo il petrolio, saremmo in questa situazione?”

I componenti di quella delegazione non avevano dubbi. La democrazia con la guerra non c’entra nulla. Il petrolio e la guerra sono parenti stretti.

Papa Francesco in Iraq “come penitente”, “come pellegrino di pace” ha chiesto “perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà”.

Sono trascorsi anni. In Italia chi ha chiesto perdono per avere annunciato l’esportazione della democrazia in Iraq mentre sulla gente piovevano bombe?



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