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Il papa in Iraq, buone intenzioni e problemi (in)solubili. Scrive Introvigne

La Piana di Ninive, centro del cristianesimo in Iraq, rimane un luogo dove cristiani di altre parti dell’Iraq si rifugiano: ma poi, se possono, scappano in Occidente. Se li si interroga, ci diranno che il problema della libertà religiosa dei cristiani in Iraq è ormai insolubile, presi come sono fra l’incudine dell’estremismo sunnita e il martello sciita. L’analisi di Massimo Introvigne, sociologo e storico delle religioni, fondatore e direttore del Cesnur, Centro Studi sulle Nuove Religioni

Come previsto, papa Francesco ha iniziato la sua visita in Iraq richiamando le due ragioni del suo viaggio: commemorando i martiri, chiedere un Iraq e un Medio Oriente dove i cristiani possano sopravvivere e non siano costretti a fuggire, e ribadire il suo progetto avviato ad Abu Dhabi di un dialogo con l’Islam all’insegna della fraternità. Il dialogo, bene avviato con l’Islam sunnita, aspira a coinvolgere anche gli sciiti: di qui l’incontro con il Grande Ayatollah al-Sistani.

I problemi dei cristiani in Iraq, però, non sono di facile soluzione. Certamente l’Isis ha portato la loro persecuzione a un livello inaudito, con migliaia di morti e decine di migliaia di cristiani torturati, violentati, e in qualche caso perfino crocifissi. Ma i cristiani iracheni avevano problemi anche prima dell’Isis.

La mia attività nel campo della difesa della libertà religiosa mi ha portato a incontrare alcuni di loro, che talora esprimono una nostalgia per l’epoca di Saddam Hussein come una sorta di età dell’oro. Quella di Saddam era la dittatura di una minoranza, sunnita, contro la maggioranza sciita. Il regime cercava l’alleanza delle altre minoranze, in particolare dei cristiani, alcuni dei quali occupavano posizioni di rilievo nella gerarchia di Saddam. Come spesso accade, la nostalgia induce a vedere gli aspetti positivi del passato, sorvolando su quelli negativi. C’erano cristiani al governo, ma nello stesso tempo, soprattutto lontano dalle grandi città, la discriminazione dei non musulmani era quotidiana. Non mancavano episodi di violenza, ma se ne sapeva poco all’estero a causa della feroce ed efficiente censura.

Questo non significa che la tesi secondo cui i cristiani si sentivano meno insicuri all’epoca di Saddam sia totalmente falsa. Ha molti aspetti veri, ma i cristiani commisero anche gravi errori nel moltiplicare le dichiarazioni celebrative di un regime che era inviso alla maggioranza sciita così come a fazioni non irrilevanti del mondo sunnita. Questo spiega perché, caduto Saddam, non è stato difficile additare i cristiani come complici delle atrocità del dittatore. È un rischio, tra parentesi, che i cristiani che sostengono Assad corrono esattamente negli stessi termini nella Siria di oggi. Se il regime dovesse cadere, sarebbero immediatamente perseguitati come suoi complici.

In Iraq i cristiani sono un po’ dovunque ma certamente si concentrano nei tre governatorati che costituiscono la Piana di Ninive. Si tratta di un’area tormentata, con zone rivendicate dall’amministrazione centrale irachena e dal Kurdistan, che in teoria è una regione autonoma dell’Iraq ma in pratica ha una vasta area controllata, con la benedizione degli Stati Uniti, da un governo curdo che ha anche un suo esercito, i Peshmerga. La Piana di Ninive è diventata luogo di rifugio per cristiani in fuga dall’Isis e anche teatro di scontri che hanno coinvolto Isis, esercito iracheno, Peshmerga, e milizie sciite.

Queste ultime, le milizie sciite, costituiscono il principale problema. Chiamate Hash’d al-Shaabi, Forze Popolari di Mobilitazione, sono state create con l’aiuto dell’Iran per combattere l’Isis, un compito che l’esercito regolare iracheno non riusciva ad assumersi con successo. Le milizie sciite sono entrate anche nella Piana di Ninive e hanno indubbiamente contribuito alle sconfitte dell’Isis. Ma sono arrivate con i loro pregiudizi contro i cristiani “complici di Saddam” tipici degli sciiti, e sono state spesso accusate di discriminazioni e violenze anticristiane. Le milizie curde, con il loro legame con gli Stati Uniti, in teoria dovrebbero proteggere i cristiani. Ma non sempre lo fanno. La Piana di Ninive, centro del cristianesimo in Iraq, rimane un luogo dove cristiani di altre parti dell’Iraq si rifugiano: ma poi, se possono, scappano in Occidente. Se li si interroga, ci diranno che il problema della libertà religiosa dei cristiani in Iraq è ormai insolubile, presi come sono fra l’incudine dell’estremismo sunnita e il martello sciita.

Francesco può fare qualcosa? Le milizie sciite Hash’d al-Shaabi, a differenza di altre sempre sciite e di origine più antica, non avrebbero potuto nascere senza l’incitamento del Grande Ayatollah al-Sistani, che ha novant’anni ma conta ancora moltissimo. Se Francesco riuscisse a convincere il vecchio Ayatollah che i cristiani non sono, o non sono tutti, nostalgici di Saddam e nemici degli sciiti, non è impossibile – anche se resta difficile – che qualcosa possa cambiare.

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