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Se Letta vira a sinistra (e Salvini a destra). La versione di Paolo Alli

Tra jus soli e voto ai sedicenni, i primi passi di Enrico Letta da segretario del Pd preannunciano una virata a sinistra che può rivelarsi costosa nel lungo periodo. E intanto Salvini ha lanciato un’opa sul centro. Il commento di Paolo Alli

Non avendo mai amato farmi gli affari degli altri, ho sempre evitato di occuparmi di cose della sinistra. Con la sola eccezione di un tempo nel quale, insieme ad altri amici, decisi di dare fiducia al tentativo di Matteo Renzi, che sembrava avviato ad una svolta centrista.

Archiviata quella breve fase della politica italiana, mi sono sempre guardato dal cercare di capire le ragioni vere della vocazione al suicidio che ha caratterizzato, ormai da qualche decennio, il principale partito della sinistra italiana.

L’annuncio della candidatura di Enrico Letta alla segreteria del Pd mi aveva sorpreso positivamente, dal momento che mi sembrava prefigurare una nuova stagione di moderazione per la sinistra italiana, in controtendenza con le strategie della segreteria di Nicola Zingaretti.

Ciò andrebbe nella direzione ipotizzata dalla lucida lettura di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, rispetto al tentativo di occupazione di un “centro” che Letta potrebbe anche cercare di perseguire, dato che al momento, per usare le parole dello stesso Panebianco, in questo fantomatico centro “si accalcherebbero più leader che elettori”.

Per questo mi ha stupito che Letta abbia indicato come sue priorità politiche due temi quali lo jus soli e il voto ai sedicenni, che certamente non stanno oggi in cima alle preoccupazioni degli italiani. Numerosi amici mi hanno chiesto se il bravo Enrico si fosse “bevuto il cervello”, e anch’io sono stato portato a pensare che i troppi anni di esilio accademico in terra francese gli avessero rattrappito la materia grigia della quale la natura lo ha abbondantemente fornito.

Dal momento però che il Letta nipote non è affatto uno stupido, così come lo zio Gianni – peraltro assai più saggio, navigato e scaltro – ho cercato di dare una spiegazione che faccia onore alla sua intelligenza.

Ho pensato, quindi, che nelle sue scelte abbiano prevalso elementi di tipo tattico, i quali però, se reali, portano ad individuare una preoccupante visione di tipo strategico.

Anzitutto, Letta deve tenere a galla la barca del Pd, che ormai fa acqua da tutte le parti, specie dopo l’innaturale alleanza con il Movimento 5 Stelle. Questa necessità passa proprio attraverso il rafforzamento dell’accordo con gli stessi 5 Stelle, almeno fino alla elezione del Presidente della Repubblica, e magari anche fino alle prossime politiche, dipenderà dalla legge elettorale.

In secondo luogo, egli ha assoluto bisogno di tenere insieme le mille anime che si agitano dentro il Pd, e questo difficilissimo tentativo può riuscire solo sventolando bandiere “di sinistra”.

In terzo luogo, Letta ha la necessità di non appiattirsi sul governo Draghi: sotto questo profilo, rilanciare temi divisivi è funzionale a marcare la distanza da un esecutivo che rischia di trasformarsi, giorno dopo giorno, da tecnico a politico con una prospettiva che non è quella che vorrebbe la sinistra.

Non credo, però, che Letta abbia nessuna idea di far cadere il governo, come ipotizza Matteo Salvini, perché una scelta di questo genere, in un momento come quello attuale, metterebbe prematuramente fine ad ogni suo tentativo.

Da ultimo, può essere che nelle scelte di Letta giochi un ruolo non secondario il personalismo, sotto forma di rancore mai sopito verso Renzi e il suo #enricostaisereno di sette anni fa. Il naturale desiderio di rivalsa gli impedisce di intraprendere un percorso “centrista” già tentato, e fallito, dall’attuale leader di Italia Viva.

Il quadro è senza dubbio assai più complesso di quanto questa mia superficiale analisi metta in evidenza, a partire dal fatto che, come ho già avuto modo di sottolineare, credo che oggi la possibilità di lanciare un’Opa sul centro non sia certo nelle mani del Pd, ma in quelle di Salvini, visto che ne detiene già una larga parte dei voti.

Infine, penso che le mosse tattiche di Letta rivelino un disegno strategico che non prevede affatto il tentativo di spostare il Pd su posizioni più moderate, che sarebbero consone anche alla sua personale estrazione cattolica, ma che, al contrario, il nuovo segretario intenda rafforzare il posizionamento del proprio partito nell’ambito della sinistra radicale.

Se questo fosse vero, sarebbe la dimostrazione che l’unico vero comunismo rimasto è il cattocomunismo. Giro questa umile riflessione a Panebianco, che sembra non averla considerata nella sua ottima analisi.

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