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Siria, la rivoluzione impossibile dieci anni dopo

Da dieci anni il Paese è dilaniato dalla guerra e da una crisi umanitaria da cui partono virus pericolosi. Il mondo però non sta risolvendo la crisi siriana e la Siria sta sirianizzando il mondo. Che tutto questo sia passato attraverso l’accettazione di un genocidio da parte di un regime senza altra cultura che il “divide et impera” dovrebbe indurci a riflettere e cambiare strada, il prima possibile. Per i siriani e per noi stessi

Un occhio attento, a differenza del nostro, non avrebbe avuto bisogno di dieci anni per capire cosa ha significato la guerra di Siria. Il 14 ottobre 2011, dalla cittadina siriana di Kafranbel, famosa per i suoi striscioni in inglese che cercavano di stabilire un contatto tra siriani e cittadini del resto del mondo, fu esposto un cartello che sarebbe poi diventato famoso grazie alla combinazione di originalità e cinismo, esso recitava: “Abbasso il regime e l’opposizione, abbasso le nazioni arabe e islamiche, abbasso il Consiglio di Sicurezza, abbasso il mondo, abbasso tutto!”.

La ricostruzione del disastro causato da questi dieci anni sta ancora tutta lì. Loro, i siriani esposti alla violenza indiscriminata e totale del regime nel silenzio ottuso del mondo, ci avvertivano che l’esito sarebbe stato l’emergere di un nuovo virus: il nichilismo islamico. Abbandonati da tutti alle sevizie del regime, usati dai jihadisti islamici per impedire che la loro rivoluzione si diffondesse anche in altri Paesi vicini e affermasse un principio arabo di libertà e partecipazione, dimenticati dal mondo civile pronto ad abbracciare Assad contro “i terroristi”, ci avvertivano che il nichilismo islamico era pronto a irrompere sulla scena mondiale, sempre a loro discapito, ovviamente. Ma non è tutto.

Yassin al Haj Saleh, grande intellettuale siriano detenuto per 17 anni come prigioniero politico nella Siria di Assad, ci ha detto già allora che era anche peggio: “A Binnish, per niente diversa da un punto di vista sociale e culturale da Kafranbel, è stato issato un altro cartello altrettanto distruttivo; questa volta era privo di originalità, ma non mancava di disperazione e radicalismo: ‘Abbasso i coordinamenti e i parlamenti, abbasso i traditori nel Consiglio Nazionale Siriano, abbasso la pagina ufficiale della rivoluzione siriana, abbasso l’Unione dei comitati di coordinamento e l’Organizzazione Generale della rivoluzione!’. Quel che caratterizza questo cartello è l’annuncio della revoca radicale di fiducia a tutta l’opposizione, comprese quelle formazioni nate all’ombra della rivoluzione e ad essa connesse. Non si tratta di una disperazione avvilita e arrendevole, bensì di una disperazione arrabbiata e che lotterà fino alla morte; non è un annuncio di rinuncia alla battaglia, ma in un certo senso la fine della fiducia in quei nomi su cui si faceva affidamento. Quel che finisce è il contare su qualcuno, non la rabbia o la lotta stessa”.

Se questa appare un’esagerazione domandiamoci come mai l’Isis, gloriosamente sconfitto nel 2017, starebbe tornando a inquietare tutti in Siria e in Iraq, con attentati e atti nuovamente barbari, nonostante la testa del serpente, il sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi, sarebbe stata uccisa molto tempo fa in un bombardamento al confine tra Siria e Turchia? Già questo è strano: le sue tracce non erano state perse centinaia di chilometri più a sud, al confine tra meridionale tra Siria e Iraq? Assediato da mesi da curdi e tanti altri, come fece a fuggire fin lassù, la testa del serpente?

Forse i regimi hanno sentito la nostalgia del loro nemico perfetto, quello che tutti li giustifica. Quel nemico senza il quale non saprebbero come continuare a esercitare un potere assoluto, libero da ogni vincolo di legge, anzi, di umana natura. Il ritorno a una forma primordiale di vita barbara è l’obiettivo di questo come di altri regimi, che fanno dell’estrema povertà delle loro popolazioni un’indispensabile risorsa per controllarle e sottometterle. È una risorsa indispensabile come nel sistema della nostra mafia, che investe altrove le sue enormi fortune, ma lascia nel disastro ambientale e nella povertà i territori dove nasce e comanda e si organizza per controllare in modo assoluto i suoi domini. In definitiva la storia di questi regimi, rispetto ai loro incoraggianti albori post-coloniali d’inizio Novecento, ricorda la storia del Padrino, passato dall’originario sistema del Padrino parte prima a quello odierno, del Padrino parte seconda, che vede questi regimi mafiosi esercitare un enorme potere finanziario nei traffici internazionali e nei paradisi fiscali ma lasciando nella miseria più nera, sotto il tacco delle sue bande, le terre che controlla.

Il silenzio del mondo davanti al disastro siriano che si protrae da dieci anni, è il prodotto dell’incomprensione della contagiosità dei virus che da lì si espandono. Il più evidente e misconosciuto è il nichilismo islamico, che viene usato dal regime per giustificare se stesso fingendosi un “male minore” e dall’Islam apocalittico per realizzare il suo sogno, distruggere il mondo che ritiene l’inferno avvicinando il momento della battaglia finale, Armageddon, che porterà il Paradiso. Ai nichilisti questa non interessa, a loro interessa solo esprimere, sfogare la loro sete, il loro bisogno di violenza. Per farlo va bene qualsiasi bandiera, anche quella nera dell’Isis.

Incolpare di questo l’Islam invece di aiutarlo a combattere questa malattia è disastro che se perseguito ancora diventerà irreversibile. L’altro disastro è il virus della trasformazione dell’identità religiosa in identità settaria. Lo vediamo come in questi dieci anni questo virus ha contaminato anche noi. L’identità religiosa non ha nulla a che fare con un settarismo tribale. Tutti gli interventi che si sono accavallati in Siria aggravando il dato comunitario del conflitto hanno esportato anche qui questa terribile dimensione.

Così il mondo non sta risolvendo la crisi siriana e la Siria sta sirianizzando il mondo. Che tutto questo sia passato attraverso l’accettazione di un genocidio da parte di un regime senza altra cultura che il “divide et impera” dovrebbe indurci a riflettere e cambiare strada, il prima possibile. Per i siriani e per noi stessi.

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