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Tech-war con la Cina? Ecco la strategia del Pentagono

Di Alessandro Strozzi

Michèle Flournoy è cofondatrice e managing partner di WestExec Advisors, la società di consulenza strategica fondata nel 2017 da Antony Blinken, attuale segretario di Stato. In un recente evento al Cnas, ha spiegato quale sarà la strategia degli Stati Uniti per vincere la competizione tecnologica con la Cina, tra investimenti e una nuova struttura di alleanze

Gli Stati Uniti affrontano una sfida senza precedenti nella loro storia: una competizione strategica con un avversario, la Cina, altamente capace e sempre più ricco di risorse, la cui visione del mondo e i cui modelli economici e politici contrastano con gli interessi ed i valori delle democrazie occidentali. Questo è il punto di partenza del recente evento “Crafting a U.S. National Technology Strategy” del Center for a New American Security (Cnas), a cui ha preso parte Michèle Flournoy, co-founder e managing partner di WestExec Advisors (società di consulenza strategica fondata nel 2017 da Anthony Blinken, oggi segretario di Stato dell’amministrazione di Joe Biden).

L’ascesa cinese mina la potenza economica e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei suoi alleati, mettendo in discussione i valori democratici liberali. La tecnologia, fattore chiave per il potere economico, politico e militare, è il fulcro di questa competizione. Per competere con la Cina, gli Stati Uniti devono dunque sviluppare una “strategia nazionale tecnologica” che sia la pietra angolare su cui fondare il successo degli Usa e dei suoi alleati, in materia di innovazione e leadership tecnologica.

Tali considerazioni emergono con chiarezza anche dal rapporto firmato Cnas, “Taking the helm”, che inquadra il concetto di strategia tecnologica nazionale e i motivi per i quali gli Stati Uniti ne hanno bisogno. Piuttosto che offrire una lista di aree tecnologiche prioritarie, il rapporto fornisce alcune linee guida per strutturare tale priorizzazione, di cui i policy-makers statunitensi devono fare tesoro.

Secondo Michèle Flournoy, gli Stati Uniti necessitano di un approccio nazionale strategico-tecnologico al fine di gestire la complessità del contesto geopolitico attuale e futuro minacciato da una Cina sempre più competitiva e assertiva. Senza un chiaro sforzo nazionale, gli Stati Uniti stanno mettendo a rischio il mantenimento della loro supremazia tecnologica.

Essendo quella tecnologica una supremazia intersettoriale, è necessario che la sicurezza nazionale americana individui tecnologie chiave in aree specifiche su cui concentrare gli sforzi, per consolidarvi il proprio vantaggio tecnologico e non disperdere energie su troppi fronti. Qui entrano in gioco i Paesi alleati, con cui condividere gli sforzi in ricerca e sviluppo (R&S) e rinnovare l’ordine globale sulla basi di libertà, rule of law e diritti umani.

Il dipartimento della Difesa (DoD) deve identificare quali capacità delle Forze armate americane devono essere potenziate. In secondo luogo lo sforzo strategico del Pentagono deve mirare all’aumento degli investimenti economici in tecnologie chiave già identificate, siano esse l’intelligenza artificiale, il concetto di Joint All-Domain Command and Control (Jadc2) o i sistemi “senza pilota”. Questo potrà essere fatto mitigando i punti critici del processo di acquisizione del Pentagono che, nonostante sia estremamente efficiente in fase di “tech scouting” e prototipazione, mostra carenze nelle fasi di produzione. In tal senso andranno incrementati gli incentivi ed i programmi educativi rivolti ai quadri degli uffici acquisizione, per sviluppare competenze e maggiore propensione al rischio, in favore dell’innovazione.

Altra fragilità che, secondo Flournoy, mina le potenzialità del procurement del Pentagono, attiene al trade-off tra i sistemi tradizionali (legacy systems: in cui la difesa ha già investito diverso tempo e denaro, come i B52 o gli M1 Abrams) e le nuove tecnologie disruptive. La difesa americana è ancora troppo sbilanciata nello sviluppo di nuovi sistemi tradizionali, senza investire sulle tecnologie che possono invece potenziare i sistemi e piattaforme già sviluppati. I “war-games” dell’Office of Net Assessment (Ona) affermano la necessità dell’integrazione di nuove tecnologie per sviluppare le capacità dei sistemi legacy.

Gli alleati saranno la chiave per vincere la competizione tecnologica, se le future joint venture saranno strutturate valorizzando le competenze peculiari di ogni Paese. L’approccio “buy American” che pervade il Congresso sarà, per Flournoy, un ostacolo agli sforzi di condivisione tecnologica con i Paesi alleati. Esso potrà essere mitigato mediante l’adozione di un approccio molto cauto, nei confronti di quei paesi con cui ancora non vigono strette collaborazioni in campi quali l’intelligence. Il nuovo gruppo di lavoro in ambito tecnologico istituito presso il Quadrilateral Security Dialogue (Quad), è un buon modello da replicare in altre alleanze.

Flournoy ritiene che l’argomento della competitività non debba impedire la condivisione di tecnologie con altri Paesi, dal momento che temi ampi, quali il cambiamento climatico, necessitano di uno sforzo globale. L’approccio corretto è sintetizzabile nella frase “Higher walls around smaller gardens”: gli Stati Uniti devono proteggere quelle tecnologie necessarie alla loro supremazia tecnologica, pur condividendo le restanti innovazioni utili a constatare minacce come pandemie e cambiamento climatico.

Altro punto saliente è la collaborazione tra il settore civile e quello militare. Il Pentagono ha bisogno di attrarre l’industria venture-backed modello Silicon Valley, sviluppando priorità chiare e comunicando con più efficacia al settore civile la disponibilità di investimenti miliardari; deve inoltre rimuovere gli eccessivi ostacoli burocratici. Secondo il recente report della National Security Commission on Artificial Intelligence (Nscai) gli Stati Uniti dovrebbero investire circa 40 miliardi in tecnologia per competere con la Cina. Oltre al quantum degli investimenti, l’amministrazione deve sviluppare l’expertise tecnologica dei suoi funzionari. Sono necessarie anche nuove politiche sull’immigrazione, che convincano i talenti internazionali (o americani di prima generazione) a rimanere negli Stati Uniti. Flournoy afferma che il presidente Biden sarà in grado di aumentare la consapevolezza della cittadinanza sull’importanza della nuova sfida tecnologica nazionale.

Le politiche industriali sono la manifestazione dell’equilibrio tra libero mercato e intervento governativo. Per Flournoy il governo non può certo determinare vincitori e sconfitti, tranne in caso di obiettivi strategici per la sicurezza nazionale. Per questo, in ambito tecnologico, il governo deve usare ogni leva utile per attirare gli investimenti del settore privato, come la politica fiscale, la R&S federale e gli incentivi all’educazione Stem.

Infine, Flournoy conclude il suo intervento con una riflessione più generale sul rapporto tra pensiero strategico ed esecuzione: anche la migliore delle strategie di policy deve essere implementata navigando tra i processi burocratici.
Quello dell’esecutivo americano, sembra essere un sistema troppo distribuito per un’esecuzione strategica efficace. Per questo la Casa Bianca dovrà assumere un ruolo più forte, ispirato al processo inter-agenzie adottato dal National Security Council. Infine un problema assai pervasivo rimane l’eccessiva rapidità di cambiamento della classe dirigente (ogni 2-3 anni), secondo una dinamica destabilizzante. Per rifarsi ad esempi storici, sia d’ispirazione l’operato dell’ammiraglio Hyman Rickover, rimasto in carica per molti anni al fine di implementare la tecnologia nucleare nella Marina americana. La stessa continuità di leadership deve essere ristabilita, per assicurare un impegno stabile e pluriennale sulle sfide tecnologiche.

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