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Pandemia, vaccini e politica pubblica. Il saggio di Monti e Wacks

Di Andrea Monti e Raymond Wacks
Covid

Pubblichiamo un estratto del volume “Covid-19 and Public Policy in the Digital Age” saggio pubblicato da Routledge e firmato da Andrea Monti, professore incaricato di diritto dell’ordine e della sicurezza pubblica nell’università di Chieti e Raymond Wacks, professore emerito di legal theory nell’Università di Hong Kong. Scritto a ridosso della “seconda ondata” e pubblicato nel dicembre 2020, è tuttora molto attuale

Covid-19 and Public Policy in the Digital Age è un saggio pubblicato da Routledge e scritto da Andrea Monti, professore incaricato di diritto dell’ordine e della sicurezza pubblica nell’università di Chieti e Raymond Wacks, professore emerito di legal theory nell’Università di Hong Kong.

Lo studio anticipa e analizza, in una prospettiva comparata estesa anche al Far-East, i temi che caratterizzano il dibattito su pandemia e scelte di politica pubblica, dalla geopolitica dei vaccini al rapporto fra sicurezza e diritti, dal ruolo dei media a quello degli scienziati. È uno dei primi lavori – se non il primo – ad affrontare in modo strutturato le complessità del policy making in condizioni di emergenza.  Scritto a ridosso della “seconda ondata” e pubblicato nel dicembre 2020, è tuttora di straordinaria attualità. Di seguito, la traduzione italiana dell’Epilogo.

Lockdown, distanziamento, screening, contact-tracing, face-masking: il linguaggio ha acquisito nuove parole e, il mondo, un ordine sociale trasformato. La pandemia non ha soltanto messo fine a un numero enorme di vite, ma ha cambiato profondamente la nostra esistenza. In Occidente facciamo fatica ad accettare l’impossibilità di un mondo senza rischi, ma la realtà della malattia è tutt’altro che nuova nei paesi in via di sviluppo.

L’impatto del Covid-19 sulle politiche pubbliche continua ad evolversi. Ci vorranno decenni prima di poter valutare definitivamente l’efficacia della nostra risposta. Tra i fenomeni più rilevanti, placata la paura globale dei primi tempi, c’è la comparsa nell’arena pubblica della politicizzazione della pandemia. La speranza irrealistica di una politica che possa garantire una società libera dal Coronavirus influenza apertamente le scelte dei governi. La stanchezza sociale causata dalla paura del futuro è guidata da movimenti politici estremisti che stanno prendendo piede anche in paesi democratici come la Germania e la Gran Bretagna.

L’economia, l’occupazione, la tecnologia, i media e la fornitura di servizi medici sono solo gli elementi più evidenti ad essere stati colpiti dal Covid-19. Eppure, mentre i Paesi annunciano ufficialmente posizioni condivise, individualmente adottano strategie che hanno contribuito a un aumento del nazionalismo, in particolare nella ricerca della vaccinazione contro il virus. La competizione tra istituti di ricerca in vari paesi ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a lanciare un avvertimento contro il nazionalismo vaccininale. Ha messo in guardia contro la non condivisione o il furto di dati e di altre risorse chiave, come è avvenuto per le forniture mediche nelle prime fasi del contagio.

Tuttavia, nonostante il fatto che ci vorrà ancora tempo prima che un vaccino sia effettivamente disponibile,  è stato trasformato in un’arma da usare nell’arena diplomatica. Ottenere un vaccino offre la prospettiva di creare alleanze internazionali o, per necessità, di forgiarne di nuove, scuotendo così il già fragile equilibrio globale del potere. Gli Stati Uniti affermano che un vaccino cinese potrebbe essere utilizzato contro l’Occidente, un’affermazione ferventemente negata da Pechino. Si dice che l’India stia collaborando con la Russia per produrre lotti del vaccino Sputnik V, mentre cerca di assicurarsi una consegna prioritaria da tutti i produttori internazionali.

La comprensibile disperata ricerca di una diagnostica affidabile, di una terapia efficace o di una cura ha generato la ricerca irrazionale di una “svolta” scientifica. L’apparente fretta con cui la Russia ha brevettato il primo vaccino ha sollevato preoccupazioni sulla sua sicurezza a causa della presunta mancanza di prove complete. Inoltre, aspettative irragionevoli sono state alimentate dai media che continuano a diffondere notizie sui primi risultati di studi – ancora in fase di pre-stampa – che attendono di essere validati. Che si tratti di sensazionalismo, autopromozione o inettitudine, questo è stato anche un fattore determinante per stimolare il sentimento anti-cinese, poiché alcuni studi (uno respinto più volte, un altro non ancora revisionato) sono stati sfruttati per rafforzare la tesi che la Cina sia responsabile dell’origine e della diffusione del virus.

Viene spesso espresso il timore che, avendo adottato misure draconiane per arginare la malattia, i governi difficilmente le revocheranno una volta superata la pandemia. Si suggerisce che l’acquiescenza del pubblico alla sorveglianza estesa, per esempio, potrebbe incoraggiarne l’adozione come caratteristica permanente del controllo politico o del crimine.

Non meno inquietanti sono alcuni degli sviluppi sulla scena internazionale.

Le ansie per il disordine interno generato dalla rigida regolamentazione delle misure di sicurezza sono state prese come giustificazione per l’acquisto di armi e altri mezzi di controllo della folla. Alcuni Paesi hanno espresso preoccupazione per la possibilità che i confinanti sfruttino la loro debolezza indotta dal COVID.

La minaccia alla democrazia è anche evidente tra quei Paesi repressivi le cui tradizioni di autoritarismo, corruzione e burocrazia si sono combinate per ostacolare la gestione della pandemia. Il Brasile e altri paesi dell’America Latina sono gli esempi più tangibili.

Sul fronte economico, i diversi blocchi politici dell’Ue hanno dovuto lottare con vari mezzi per raggiungere la ripresa economica. Ciò ha messo in luce sgradevoli pregiudizi nei confronti di alcuni Stati membri (soprattutto l’Italia) che si sono opposti a qualsiasi controllo della spesa dei fondi previsti per aiutare la ripresa economica.

Le differenze significative nelle risposte individuali alle sfide poste dalla pandemia dimostrano il ruolo delle culture e degli approcci specifici dei paesi. Quelli svedese e giapponese si basano sulla fiducia nella responsabilità collettiva piuttosto che su disposizioni interdittive che obbligano rigidamente a indossare maschere e adottare comportamenti sociali imposti dal governo. Giudicare tali misure come fallimenti sulla base del loro tasso di mortalità è sia specioso che tendenzioso. Le statistiche, come sosteniamo nel capitolo 2, sono state molto abusate e male utilizzate dai governi e dai media; sono una base precaria per il confronto. Ma è chiaro che questa forma di regolazione basata sulla responsabilità collettiva avrebbe poco successo in paesi con un ethos più individualista.

In generale, le nazioni che hanno reagito meglio nelle fasi iniziali continuano a dare risultati positivi, e viceversa. In altre parole, i conflitti politici interni e le crisi economiche hanno impedito ai paesi meno avanzati di superare o almeno limitare la diffusione del virus.

La pandemia ha rivelato una serie di debolezze nella struttura e nel funzionamento delle pubbliche amministrazioni della maggior parte delle nazioni. Ha anche esposto la vulnerabilità dell’ordine economico; la frenetica ossessione di evitare il collasso ha bloccato l’eliminazione degli otacoli verso una maggiore efficienza. E ha generato una propensione ad incolpare il Covid-19 per tutti i mali che stiamo sopportando. Questa è chiaramente un’esagerazione. Ci sono elementi più profondi dell’ordine mondiale che si trovano al centro dei contrasti e della sofferenza che stiamo subendo. La probabilità di una seconda ondata del virus dovrebbe suggerire di fermarsi per un momento e considerare se, nella nostra ricerca di materialismo e consumismo, possiamo aver perso di vista alcuni dei valori più durevoli ed essenziali come libertà, democrazia e Stato di diritto.

Con l’avvento della seconda ondata del virus, avremo imparato qualche lezione?

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