Riflettori puntati sull’Italia dopo l’accordo tra l’azienda Adienne e il fondo sovrano russo Rdif per la produzione del vaccino Sputnik a Monza. Ecco cosa scriveva a novembre il Copasir circa la penetrazione di Mosca in Italia (anche attraverso quel veicolo per investimenti!). Sfogliato oggi, il documento sembra suggerire che il siero sia un proxy del Cremlino
La notizia dell’accordo – annunciato dalla Camera di commercio italo-russa – tra l’azienda farmaceutica italo-svizzera Adienne Pharma&Biotech con il Russian Direct Investment Fund per la produzione del vaccino Sputnik V presso gli stabilimenti di Caponago, a Monza, sta facendo il giro del mondo – oltre a irritare l’Unione europea e a lasciare interdetto il nostro governo, la cui linea è chiara: nessun pregiudizio, ma ci muoviamo nella cornice europea.
Il fondo sovrano russo era finito soltanto cinque mesi fa sotto i riflettori del Copasir presieduto dal leghista Raffaele Volpi. In particolare nella “Relazione sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo” di novembre, di cui sono stati relatori il deputato Enrico Borghi del Partito democratico e il senatore Francesco Castiello del Movimento 5 stelle.
La relazione aveva due addendum: uno sulla penetrazione nel tessuto economico italiano di capitali cinesi; l’altro inerente ai capitali russi. “Nel caso degli investimenti diretti esteri provenienti dalla Russia verso l’Italia, secondo i dati della Banca d’Italia c’è stato un calo nel corso del tempo, e gli stessi sono passati da 2,2 miliardi di euro del 2015 a 1,5 miliardi di euro del 2018 (con un minimo di 454 milioni di euro nel 2016). Tale dato si pone in contrapposizione alla crescita dei flussi cinesi, illustrata in precedenza”, si legge.
I commissari evidenziano poi una differente strategia di Cina e Russia: la prima “investe in tutti i settori, cerca aziende attrattive dal punto di vista delle tecnologie e delle tematiche produttive, dei mercati dei servizi o dell’appeal del brand senza una focalizzazione su determinati settori”. La seconda, invece, “investe soprattutto nel settore delle infrastrutture o in settori che abbiano un legame con la produzione nazionale”.
E quale esempio viene citato? Proprio il fondo sovrano. “Un esempio su tutti è l’investimento del fondo sovrano russo Russian Direct Investment Fund (RDIF) in Barilla S.p.A., condizionato all’apertura di uno stabilimento produttivo in Russia, Paese nel quale la Barilla da decenni ormai si approvvigiona di grano e cereali”, si legge in un rapporto che, sfogliato ora, sembra suggerire la definizione del vaccino Sputnik V come un proxy di Mosca.
Ecco un estratto dell’addendum della relazione che analizza la penetrazione russa in Italia tramite Rdif.
In effetti, recentemente il RDIF ha stanziato circa 300 milioni di euro per sviluppare ulteriori progetti di investimento in Italia, attraverso partnership con importanti istituti di sviluppo italiani (Cassa Depositi e Prestiti e FSI), implementando una serie di significativi progetti congiunti in Russia in settori tradizionali e maturi, tra cui infrastrutture di trasporto (insieme ad ANAS S.p.A.), industria dell’energia elettrica (insieme a ENEL S.p.A.), allevamento (insieme ad Inalca) e industria alimentare (insieme a Barilla S.p.A.).
La postura del Governo italiano sembra finora quella di favorire lo sviluppo di tali progetti, anche attraverso il mantenimento di buoni rapporti diplomatici con i vertici di RDIF, tenuto conto che recentemente l’amministratore delegato del Russian Direct Investment Fund (RDIF), il fondo sovrano della Federazione Russa, è stato insignito dell’Ordine della Stella d’Italia, onorificenza nazionale della Repubblica Italiana, anche per il supporto fornito dalla Russia all’Italia nel picco del Covid-19.
La Russia, infatti, investe in Italia attraverso RDIF oppure attraverso le filiali di grandi aziende russe (ex monopoliste di Stato), quali ad esempio, Gazprom, Lukoil e Rosneft, prevalentemente attraverso la stipula di progetti congiunti con azionisti italiani e ancor meglio se controparti istituzionali, essendo carente – in tal senso – la cultura imprenditoriale che caratterizza invece la comunità cinese in Italia.
Anche per la Russia, come nel caso della Cina, non è possibile intercettare gli investimenti realizzati da soggetti russi attraverso controparti finanziarie quali fondi di investimento, società di gestione del risparmio, società fiduciarie italiane ed estere o società finanziarie.
Osservando il portafoglio di investimento del Russian Direct Investment Fund si notano prevalenti gli investimenti in aziende nazionali russe o in filiali russe di aziende russe estere, in contrapposizione alla strategia di espansione e diversificazione all’estero del fondo sovrano cinese (China Investment Corporation-CIC).
Anche le sanzioni imposte nel febbraio 2014 dall’Unione europea a seguito della crisi tra Russia e Ucraina sulla Crimea potrebbero aver in qualche modo anemizzato la crescita degli investimenti russi in Italia, con ritorsioni da parte russa verso gli investimenti in aziende europee. In tal senso, emblematico risulta essere il caso della società petrolifera russa Rosneft, che ha ceduto le quote di capitale acquistate nell’azienda italiana Saras.
Per quanto riguarda le piccole attività commerciali, infine, non è possibile effettuare una comparazione tra il tasso di penetrazione di imprenditori cinesi in Italia e di imprenditori russi, sia in termini di quantità di attività imprenditoriali stabilite sul territorio italiano sia in termini di fatturato.