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Cosa resta del viaggio di Papa Francesco in Iraq. Scrive Pallavicini

Ora che il viaggio si conclude, quale scenario prevarrà, quello della diffidenza o quello della fratellanza? E in Occidente, come si modificherà la visione della politica e della religione, della dignità del pluralismo alla luce della testimonianza di Papa Francesco a Najaf, Mosul e a Ur dei Caldei, nella casa del profeta Abramo, patriarca del monoteismo? Il commento di Imam Yahya Pallavicini, presidente Coreis, Comunità religiosa islamica italiana

Bagdad è la città dove papa Francesco è arrivato nel suo viaggio in Iraq e da dove ritorna in Vaticano. La cronaca ci presenta questa città come capitale di una regione caratterizzata dalla miseria, dai segni di distruzione lasciati dai conflitti fratricidi dei nazionalismi contrapposti o dalle violenze dei militanti del terrore. Questi segni sembrano incidere nei volti del popolo che vive a Bagdad e nella regione, lasciandoli senza speranza e, forse, con una fede chiusa nella diffidenza dell’altro, diffidenza del vicino, diffidenza del credente, diffidenza del governo. Una chiusura dell’animo che induce la gente a pensare solo a se stessi e a sopravvivere alla giornata e, adesso, a preoccuparsi dell’emergenza sanitaria che si diffonde senza confini.

Il viaggio di Papa Francesco ha l’effetto di ribaltare questa depressione sociale e di alimentare la speranza nei volti, negli animi, nelle menti e nei cuori dei cittadini e dei credenti, cristiani d’Oriente e di altre comunità di fede che vivono nella regione, persino le minoranze degli ebrei e dei sabei, una comunità rimasta fedele agli insegnamenti di Giovanni il Battista. Ora che il viaggio si conclude, quale scenario prevarrà, quello della diffidenza o quello della fratellanza? E in Occidente, come si modificherà la visione della politica e della religione, della dignità del pluralismo alla luce della testimonianza di Papa Francesco a Najaf, Mosul e a Ur dei Caldei, nella casa del profeta Abramo, patriarca del monoteismo?

Papa Francesco ha realizzato il desiderio del suo predecessore San Giovanni Paolo II che, ad Assisi, nella ricerca di benedizione del patrono d’Italia, San Francesco, ha saputo riunire i rappresentanti delle religioni per pregare per la pace nel 1986 e che, successivamente, avrebbe voluto andare in pellegrinaggio al luogo di nascita di Abramo ma un’altra guerra glielo impedì. Questi viaggi, infatti, sono pellegrinaggi, non sono visite turistiche o incontri diplomatici, sono spostamenti che cambiano i cuori e convertono l’anima e le menti. Questi viaggi ci ricordano proprio quello di San Francesco a Damietta, con l’intenzione di proseguire per la Terra Santa. Al ritorno del santo dall’Egitto in Italia, i discepoli francescani hanno fatto fatica a seguirlo, a comprenderlo, perché certe esperienze trasformano e cambiano la sensibilità e la dimensione della vita. Sarà così anche per i cristiani d’Occidente al ritorno di Papa Francesco dall’Iraq?

E la vita a Bagdad non sarà più la stessa o si ritorna “quelli di prima”, disperati e indifferenti? Eppure, Bagdad è stata la capitale di scambi scientifici, culturali, commerciali, filosofici, politici, intellettuali e spirituali. Il patrimonio della riflessione e dell’approfondimento del pensiero islamico ha visto in questa regione al-Hasan al-Basri, al-Khwarizmi, al-Muhasibi, al-Jahiz, al-Kindi, Junayd, al-Hallaj, al-Razi, al-Farabi, Ibn Sina, al-Biruni, al-Mawardi, al-Ghazali, Abd al-Qadir al-Jilani, Ibn ‘Arabi, nell’arco di quattro secoli a cavallo del millennio precedente e con apporti fruttuosi dall’estremo Oriente all’estremo Occidente. Possibile che, in questo ultimo secolo, sia rimasto solo l’estremismo della barbarie e della dimenticanza della natura umana?

Papa Francesco è riuscito a richiamare le radici del monoteismo, identificandole con la casa di Abramo, nel luogo dove il profeta è nato e da dove gli è stato ordinato di migrare per abbandonare la desolazione degli idolatri che erano irreversibilmente insensibili all’adorazione di Dio. In questa migrazione c’è la chiave del movimento della vita, la riscoperta delle radici vere che portano ai veri frutti e che lasciano orme da percorrere per i posteri. Si tratta dell’eredità della profezia nella autentica sapienza dell’identità e della prospettiva del servizio dell’uomo e della donna sulla terra.

Il processo inverso è la fissazione ostinata nel paganesimo tribale. Monsignor Khaled Akasheh, direttore per i rapporti con l’Islam del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha partecipato in questi giorni ad un dibattito internazionale promosso da Abu Dhabi dal WMCC, World Muslim Communities Council, nel quale ha testimoniato come il viaggio di Papa Francesco e la migrazione di Abramo corrispondono ad un insegnamento per uscire da ciò che è tribale e scoprire la fratellanza comunitaria, “rispettando la chiamata di Dio”.

Uscire dalle difficoltà verso la speranza per aprirsi ad un irradiamento delle relazioni che da Ur dei Caldei, vada a Bagdad, trovi pace a Gerusalemme e risalga persino in Occidente dove sembra necessario riscoprire una nuova speranza di fede e di fratellanza tra società, politica e sacro, evitando ogni politicizzazione o discriminazione della religione. Nello stesso convegno, è intervenuto il deputy mufti della Grecia Sherif Damadoglou chiarendo di non dover confondere la differenza tra bene e male con le differenze nel pluralismo culturale e religioso per evitare che da tale confusione si possa commettere l’errore peggiore di esprimere una pretesa di egemonia di una comunità sulla faziosa demonizzazione di un’altra comunità. Questa è la barbarie dell’arroganza del tribalismo che, dopo il viaggio di Papa Francesco e la riunione interreligiosa di Ur, deve essere superata riconoscendo la luce della profezia e il messaggio di misericordia di ogni dottrina religiosa.

Infine, un pensiero da musulmano europeo e sunnita su AyatAllah al-Sistani e al suo incontro con Papa Francesco nella città santa di Najaf. Certo, sono entrambi, in modo asimmetrico, referenti per l’interpretazione della religione nella vita pubblica, rispettivamente per l’Islam sciita e per il Cristianesimo cattolico. Ma entrambi sono anche autorevoli interpreti della Rivelazione di Dio e maestri di profonda spiritualità. Il dialogo sulla fratellanza interreligiosa sembra beneficare non solo di una concentrazione sulla radice della profezia e sulla ricaduta sociale e regionale ma anche sull’essenza e il mistero della Verità universale.

(Foto Twitter @antoniospadaro)


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