Le misure di lockdown hanno sicuramente permesso al settore video ludico un exploit dei consumi e della produzione, però “tale positivo risultato non può essere interpretato soltanto come una conseguenza di questa situazione eccezionale. Stando alle nostre rilevazioni, la crescita del mercato italiano è stata costante negli ultimi anni”, sostiene Thalita Malagò, direttrice generale di IIDEA
È uscito il Rapporto annuale sui dati di mercato di IIDEA, l’Associazione italiana del settore video ludico. L’analisi fa luce sul mondo del videogame, aiutandoci a capire più da vicino quali siano le principali caratteristiche del comparto e quali elementi ne trainino la crescita. Una crescita che quest’anno, rispetto al 2019, è stata esponenziale. E sorge spontaneo domandarsi cosa può fare l’Italia per sfruttare a pieno il potenziale, forse ancora inespresso, dei videogiochi. Ne abbiamo parlato con Thalita Malagò, direttrice generale IIDEA.
Come emerge dal vostro Rapporto annuale sui dati del mercato dei videogiochi, il settore video ludico è cresciuto esponenzialmente rispetto alle rilevazioni del 2019. In quale misura ciò è dovuto alla pandemia ed alle restrizioni della vita sociale che essa ha causato?
Il risultato è stato senz’altro influenzato dalla pandemia, ma non può essere interpretato soltanto come una conseguenza di questa situazione eccezionale. Stando alle nostre rilevazioni, la crescita del mercato italiano è stata costante negli ultimi anni e questa continua espansione è dovuta a molteplici fattori che indicano un cambiamento ormai in atto da tempo. Tra questi, in primis la disponibilità di dispositivi, contenuti ed esperienze di gioco capaci di conquistare pubblici diversi con esigenze diverse. Per queste ragioni riteniamo che sia plausibile aspettarsi una crescita, seppur più contenuta, anche negli anni a venire.
Quali sono i fattori di sviluppo che hanno maggiormente trainato questa crescita?
I fattori di sviluppo sono, come sempre, la creatività da una parte e la tecnologia dall’altra. La creatività è veicolata dal software, che ha fatto da traino al settore con una crescita del 24,8% rispetto al 2019, in particolare grazie al digitale che comprende digital download su console e Pc e app. La tecnologia invece è veicolata dall’hardware, che ha registrato un trend positivo del 6,9% grazie alle buone performance delle console new gen (Microsoft e Sony) e di Nintendo Switch. Quest’ultimo dato ha peraltro anche risentito della mancanza di stock disponibile per l’acquisto da parte delle famiglie italiane in occasione del Natale.
Il settore italiano, nonostante la crescita di quest’anno, risulta ancora inespresso, come emerso dall’approfondimento di IIDEA su Formiche n.167. Esso è infatti solo al quinto posto in Europa. Cosa si potrebbe fare per colmare questo gap con gli altri Paesi?
Nonostante gli ottimi risultati, è un dato di fatto che, rispetto ad altri Paesi europei come Gran Bretagna, Francia e Germania, l’Italia abbia ancora un potenziale inespresso. Questo dipende in primo luogo da una diversa percezione del videogioco da parte dell’opinione pubblica. Comunque, proprio grazie alla pandemia, anche nel nostro Paese sta iniziando a cambiare la consapevolezza rispetto alle potenzialità del videogioco, soprattutto dal punto di vista sociale ed educativo. Siamo fiduciosi che questo cambio di rotta possa influenzare positivamente lo sviluppo del settore in Italia nei prossimi anni.
Che valore può quindi avere il settore dei videogiochi, in questa fase di pandemia, per sostenere il Pil nazionale?
Può avere un valore importante, che non va inteso solo ed unicamente in termini di giro d’affari generato dalle vendite di hardware e software, ma in un senso più ampio che comprende altre fonti di valore economico. Come, ad esempio, l’investimento dell’industria dei videogiochi in capitale umano altamente specializzato e in ricerca e sviluppo per realizzare prodotti sempre più innovativi. O, ancora, la nuova frontiera degli eSports o gaming competitivo, che genera un vero e proprio ecosistema nazionale di operatori economici. O, infine, il contributo che il settore dà ad altre industrie in termini di spillover tecnologici.