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Il lanciafiamme di Vincenzo De Luca compie un anno

Di Domenico Giordano

È proprio da quel venerdì di un anno fa, in cui minaccia i giovani che pensano di festeggiare la laurea, che De Luca oltrepassa senza poter più tornare indietro le colonne d’Ercole della comunicazione politica in senso stretto e diventa, volente o nolente, oggetto e soggetto di una comunicazione popolare e populista. L’analisi di Domenico Giordano di Arcadia

Era il 20 marzo del 2020, tutta l’Italia da poco più di dieci giorni era chiusa in casa stordita dalla pandemia e il presidente della Campania Vincenzo De Luca nella sua diretta del venerdì pomeriggio al minuto 29,50 lancia l’affondo contro quegli imbecilli che non comprendevano la gravità della situazione: “Mi arrivano notizie che qualcuno vorrebbe preparare la festa di laurea, mandiamo i carabinieri, ma li mandiamo con i lanciafiamme!”.

A De Luca sono bastati 25 secondi, quindi molto meno di quel quarto d’ora di celebrità preconizzato da Andy Warhol necessario per diventare famosi nella società post-industriale, per assurgere al ruolo di social star, per trasformarsi e trasformare geneticamente il suo essere politico in un essere “personaggio”, una maschera riconoscibile per la nettezza dei suoi caratteri identitari che lo rendono unico, imitabile ma, soprattutto, plastilina nelle mani del pubblico che oramai si ciba a colazione, a pranzo e a cena di contenuti user generated.

È forse proprio da quel venerdì, da quel preciso momento in cui minaccia i giovani neolaureati che pensavano di poter festeggiare impunemente il loro agognato titolo universitario, che Vincenzo De Luca oltrepassa senza poter più tornare indietro le colonne d’Ercole della comunicazione politica in senso stretto e diventa, volente o nolente, oggetto e soggetto di una comunicazione popolare e populista. Una comunicazione che sfruttando la ratio dei social si riproduce oramai per partenogenesi.

È con quel celeberrimo “vi mando i carabinieri con il lanciafiamme” che De Luca baratta, senza saperlo o volerlo, la sua trentennale storia di politico decisionista e leaderista da Salerno a Napoli con l’ingresso nell’olimpo del politainment che conta, che fa tendenza e che gli garantisce una visibilità che valica i ristretti confini regionali.

Così il presidente della Campania, in questi mesi “ha fatto più volte ricorso a delle evidenti forzature lessicali, si è sforzato di pesca­re nell’immaginario plebeo alcune figure retoriche che hanno svelato l’abbandono di quella spontaneità, in verità mai del tutto genuina, del suo linguaggio da sempre populista, per sposare e spostare il registro semantico su una variazione unicamente pop”.

I numeri di quel post che già dopo le prime 24 ore erano esorbitanti rimangano a distanza di un anno ancora impressionanti e non hanno arrestato la loro ascesa. Il contatore delle interazioni ci segnala che video del 20 marzo, oggi ha 2.300.000 visualizzazioni, 34.309 commenti e 59.942 reaction tra Like, Love, Ahah, Wow, Sigh, Grrr e più di 17.000 condivisioni.

Per non parlare poi di quanto quei 25 secondi, se ci fermiamo al passaggio incriminato di un video della durata di 47 minuti, hanno influenzato anche l’ecosistema dei social di messaggistica. Le nostre chat di WhatsApp, dalla Campania alla Lombardia, sono state letteralmente invase nelle settimane successive dai meme deluchiani e dagli stickers dello Sceriffo in tutte le versioni possibili e immaginabili. Un profluvio di immagini e video che si è alimentato, potremmo azzardare a dire pandemicamente, sui social network e sulla rete senza soluzione di continuità.

Tant’è ci sono due ulteriori dati da segnalare che ci aiutano a comprendere la portata virale di quel contenuto, il primo riguarda TikTok, la piattaforma che nell’ultimo anno ha fatto registrare il più importante incremento di utenti passando dai 3.6 milioni a oltre gli 8 milioni di iscritti, che ci restituisce dei volumi di ricerca per due singoli hashtag che possiamo a dir poco definire generosi.

Infatti, se #lanciafiamme utilizzato dagli utenti per classificare i video ha generato complessivamente 6.5 milioni di visualizzazioni, il record in assoluto è ad appannaggio dei video etichettati dagli utenti con #deluca che hanno prodotto complessivamente oltre 53 milioni di visualizzazioni.


 

Il secondo dato che ci viene in soccorso nella comprensione degli effetti debordanti della resa deluchiana alle dinamiche del politainment, è rintracciabile nel volume delle ricerche che gli utenti hanno fatto online su Google negli ultimi dodici mesi, utilizzando la keyword “de luca lanciafiamme”.

 

 

È sorprendente verificare come passato l’effetto scia, irradiatosi nelle prime due settimane fino al 4 aprile 2020 dove i volumi di ricerca hanno toccato quota 100, (che rappresenta la maggiore frequenza di ricerca del termine) nel corso dei mesi successivi gli utenti hanno continuato a produrre ricerche tanto che la media mensile nell’ultimo anno si è attestato a 260 ricerche mensili, che di per sé non rappresenta un dato particolarmente brillante, però non è affatto trascurabile se consideriamo l’origine delle motivazioni delle ricerche degli utenti.

 

 

A distanza di un anno esatto dalla boutade del lanciafiamme, Vincenzo De Luca, è diventato uno dei celebrity leader italiani più seguiti e imitati. La sua fama è cresciuta esponenzialmen­te in questo anno pandemico, una tragica condizione che ha finito per esaltare in una miscela esplosiva le doti oratorie e affabulatorie, nonché il suo piglio arrogante e puntiglioso.

La trappola che De Luca forse non vede, o che pensa semplicemente di scansare, è nascosta nella costrizione a cercare quotidianamente l’identificazione “sulla base dell’equivalenza, con il cittadino medio”, una ricerca di sopravvivenza per tenere sem­pre vivo e attuale il “brand” dello Sceriffo.

Questa rincorsa può portarlo in un secondo fuori pista, perché la sua iper-comunicazione ha completamente divorato la politica e la narrazione di una capacità amministrativa: gli ultimi mesi sono stati segnati da un innalzamento dell’asticella che non ha eguali, dove al “lanciafiamme” e al “fratacchione”, sono seguiti i “venditori di cocco” e i “parcheggiatori abusivi”, utilizzati come esempio per schernire gli avversari politici; ancora, è stato il turno del “somaro politico che ra­glia” per apostrofare Matteo Salvini, per non dimenticare i “sindaci nullità”, coniato per attaccare Luigi de Magistris, in una lista senza fine che si allunga, giorno dopo giorno di nuove tragicomiche puntate.

Alla fine di questa pandemia, ma soprattutto al termine della sua quarantennale carriera di rappresentante delle istituzioni, Vincenzo De Luca è sull’orlo di un precipizio in quanto è a un passo dall’esser ricordato più per le sue uscite fuori registro che per le doti ammi­nistrative e politiche.

Il rischio concreto è che il lanciafiamme potreb­be essere la più grandiosa realizzazione simbolica che lo Sceriffo ci lascerà in dono, un’eredità, al netto di ogni giudizio politico, che non gli rende giustizia; un lascito che lo porterà a essere “indicizzato” non per aver avuto l’intuizione e la visione di pensare alle “Luci d’Artista” salernitane, ma per esser stato il miglior imitatore di Maurizio Crozza.

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