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Zone economiche speciali. D’Amico spiega cosa manca nel Pnrr

Di Maurizio D'Amico

Nel medio lungo-periodo urge dar vita a un percorso legislativo fortemente imperniato sul concetto di Zes “di salvaguardia” dell’economia nazionale, attraverso un “single/comprehensive approach”. L’analisi dell’avvocato Maurizio D’Amico, membro del gabinetto di presidenza della Federazione mondiale delle zone franche ed economiche speciali (Femoza)

Per dare un’efficace risposta alle esigenze di riforma del tema delle Zone economiche speciali (ZES) in Italia, potrebbe essere utile l’occasione offerta dalle modifiche che saranno apportate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), relativo al Next generation Eu, che dovrà essere presentato entro il 30 aprile 2021.

L’attuale Pnrr dedica scarso spazio alle Zes. L’unico riferimento è contenuto, nell’ambito della “Missione 3: Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, all’interno della seconda componente intitolata “Intermodalità e logistica integrata”, in cui è previsto un programma nazionale di investimenti diretto alla creazione di un sistema portuale competitivo e sostenibile dal punto di vista ambientale per sviluppare i traffici collegati alle grandi linee di comunicazione europee e valorizzare il ruolo dei Porti del Sud Italia nei trasporti infra-mediterranei e per il turismo.

Nel “Progetto integrato porti d’Italia” la finalità attribuita alle Zes è “di attrarre investimenti produttivi, grazie alla semplificazione amministrativa e all’applicazione di una legislazione economica agevolata”, per consentire ai porti meridionali di svolgere “un ruolo più rilevante nei traffici intra mediterranei, resistendo maggiormente alla concorrenza dei porti del nord Africa”.

L’attenzione dedicata a tali strumenti è insufficiente, atteso che tra gli obiettivi del Pnrr c’è anche quello di aumentare la competitività del sistema-Paese. Il limite emerge anche rispetto alle linee-guida del Pnrr approvate dal Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae) nel settembre 2020, in cui invece si poteva prefigurare un ruolo delle Zes più ampio e di valenza orizzontale, desumibile dalla presenza, tra le missioni di intervento del governo indicate, anche della ” competitività e resilienza del sistema produttivo”, per le quali “è necessario ripensare gli strumenti utili ad attrarre investimenti e favorire processi di reshoring”.

Inoltre, tra le nuove strategie di elaborazione di strumenti efficienti in termini di “FDI catching” sono ignorate le Zone logistiche semplificate (Zls). Poiché l’obiettivo della Missione 3 è anche quello di sviluppare un sistema portuale competitivo a livello nazionale, è illogica l’assenza di riferimenti all’unico strumento di attrazione degli investimenti previsto dal legislatore per accelerare lo sviluppo delle aree portuali e retro-portuali del centro-nord (al pari di quanto si prevede con le Zes nelle regioni del Sud) su cui ben otto sistemi portuali sono impegnati a strutturare le loro strategie di rilancio economico.

Non si comprende perché solo in Italia permangano due differenti strumenti diretti a finalità e contesti operativi uguali, nonostante con l’introduzione delle Zls cosiddette “rafforzate” in determinate aree del centro e del nord Italia, tale “dualità” terminologica e funzionale sia ormai più formale che sostanziale. La “dualità” è palesemente incoerente rispetto alla visione di sviluppo sistemico del cluster portuale e logistico nazionale, corrispondente alla logica ispiratrice della riforma portuale del 2016, e anzi la vanifica, perché così alcuni sistemi portuali sono resi più competitivi di altri, esclusivamente perché possono catalizzare investimenti avvalendosi, oltre che soltanto delle semplificazioni procedurali, anche dell’offerta di maggiori agevolazioni e della facoltà di ricorrere a procedure “accelerate” per l’istituzione di zone franche doganali intercluse.

Nel medio lungo-periodo urge dar vita a un percorso legislativo fortemente imperniato sul concetto di Zes “di salvaguardia” dell’economia nazionale, attraverso un single/comprehensive approach. Bisognerebbe estendere l’applicazione delle Zes in tutto il Paese, prevedendo le medesime agevolazioni amministrative, infrastrutturali, e relative alla creazione di zone franche doganali, ma (coerentemente con la Carta degli aiuti a finalità regionale vigente, di cui peraltro si auspica una revisione per il Qfp 2021-2027) con l’applicazione di benefici fiscali esclusivamente per le “zone A” del Mezzogiorno con aliquote maggiori e per le “zone C non predefinite” del centro e del nord con aliquote ridotte.

Questo approccio, molto più coerente con le linee-guida del Ciae, non sarebbe in contrasto con i vincoli europei in tema di benefici fiscali, che sarebbero salvaguardati nel rispetto della normativa sugli aiuti di stato. Così anche in Italia si potrebbe ipotizzare una “apertura” concreta all’era della crescita e delle riforme strutturali, nonché del rafforzamento e della difesa dell’economia nazionale. L’archetipo di un efficace modello di sviluppo attraverso la realizzazione di riforme sempre proclamate e mai attuate, potrebbe trovare finalmente l’esordio proprio nella nuova concezione delle Zes che, da strumenti esclusivamente concepiti in un ambito funzionale logistico/portuale, potrebbero divenire anche “laboratori territoriali sperimentali” di politiche pilota per liberare il Paese dai contrappesi che ne rallentano l’effettivo rilancio.

Attraverso le cosiddette “Zes-Lab” si potrebbe consentire ai provvedimenti legislativi attuativi di politiche innovative di “incubare” in aree predeterminate, prima della loro estensione, una volta tarati, all’intero territorio nazionale. Ad esempio, applicando un orientamento già espresso in passato dall’Unctad (la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo), si potrebbero configurare alcune Zes come “test-drive” di politiche “SDGs 2030-oriented” dell’Onu, che non sono ancora state adottate a livello nazionale.

Una proposta da recepire nel Pnrr in materia di nuove strategie di attrazione di investimenti dovrebbe includere il tema delle Zes e basarsi su: l’abbandono della precitata “dualità”, l’utilizzo funzionalmente più avanzato delle Zes, la previsione di agevolazioni amministrative e fiscali più incisive, la strutturazione della loro governance in modo più agile e con un’accentuazione del ruolo attribuito alle istituzioni centrali, a garanzia del compimento di funzioni di intelligence finanziaria, contro possibili rischi speculativi internazionali diretti verso l’economia nazionale.

Un possibile rilancio del Paese imperniato sulle Zes ha un precedente storico da non sottovalutare, avente similitudini con quello attuale. Infatti per “accelerare e incoraggiare il commercio estero”, negli Stati Uniti furono varate nel 1934 le Foreign trade zones (la prima Zes al mondo fu istituita a New York nel 1937) con la finalità di mitigare gli effetti negativi dello Smoot-Hawley Tariffs Act del 1930, che aveva ancor più aggravato la crisi susseguente al crollo di Wall Street del 1929, determinando il più famoso miracolo economico della storia economica che è il New Deal.

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