Skip to main content

L’Arms control e la sfida cinese. Il punto del prof. Pastori

Di Gianluca Pastori

Il principale problema sul superamento del trattato New Start per il controllo degli armamenti è che gli strumenti per portare la Cina al negoziato sono pochi e poco efficaci. Dalla rivista Airpress, il punto di Gianluca Pastori, docente di Storia delle relazioni politiche tra nord America ed Europa presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e associate research fellow dell’Ispi

Agli inizi dello scorso febbraio, l’ufficializzazione della proroga fino al 2026 del trattato New start ha sgomberato il campo da un importante punto di contrasto tra Stati Uniti e Russia. Nel corso del 2020, i negoziati tra le parti si erano arenati sulle rispettive rigidità e (anche a causa del poco tempo a disposizione) gli auspici non sembravano favorevoli per un rilancio prima della scadenza naturale, sebbene Joe Biden, in campagna elettorale, si fosse ripetutamente espresso in favore di una estensione del trattato in vigore.

Tuttavia, pur evitando l’aprirsi di un vulnus potenzialmente pericoloso nell’attuale regime di non proliferazione, l’accordo raggiunto tra Mosca e Washington non risolve i problemi strutturali emersi negli scorsi anni. In particolare, estendendo le previsioni già in vigore, esso non affronta i “punti caldi” che, con Donald Trump, hanno ostacolato la definizione di target più ambiziosi.

In particolare rimangono in sospeso la revisione delle procedure di ispezione, la possibile estensione delle previsioni del trattato ad altre categorie di armi nucleari e, soprattutto, il suo allargamento alla Repubblica Popolare Cinese, considerato essenziale dalla passata amministrazione statunitense, ma rispetto al quale Pechino ha affermato in più occasioni la propria contrarietà. Quali scenari apre, su questi punti, l’accordo raggiunto nelle scorse settimane? In termini quantitativi il trattato ha prodotto, nei suoi dieci anni di vita, risultati tutto sommato soddisfacenti. Secondo i dati contenuti nell’ultimo rapporto semestrale diffuso dal Dipartimento di Stato Usa, e aggiornati al primo settembre 2020, gli Icbm, Slbm e bombardieri strategici schierati dagli Stati Uniti sarebbero 675, e 510 quelli schierati dalla Russia.

Il totale degli assetti schierati e non schierati sarebbe, rispettivamente, 800 e 764, e il totale delle testate sui vettori schierati, rispettivamente, 1.457 e 1.447. Il primo giugno 2011, pochi mesi dopo l’entrata in vigore del trattato, i valori nelle tre categorie erano, rispettivamente, 882 e 521, 1124 e 865, e 1800 e 1537. Tuttavia, sul piano della sostanza, non sono mancate le riserve. Il trattato, tra l’altro, non ha impedito la modernizzazione degli arsenali nucleari delle parti, in alcuni casi ponendo dubbi riguardo alla compatibilità di tale attività con i limiti del trattato stesso. Anche il suo possibile ruolo di traino per ulteriori riduzioni degli armamenti è stato messo in dubbio, mentre sul piano formale è stato rilevato come le ambiguità di talune formulazioni abbiano un impatto diretto, per esempio, sul funzionamento dei meccanismi di ispezione e verifica.

Su queste basi da più parti si invoca da tempo un superamento del trattato New start. La proroga concordata da Biden e Putin dovrebbe offrire alla diplomazia il tempo necessario ad affrontare concretamente le diverse questioni sul tappeto. La decadenza del trattato Inf sui missili a raggio intermedio (che anche la Russia sembra ormai considerare non più rivitalizzabile) rende possibile un allargamento delle previsioni di un eventuale “nuovo New start” anche a questa classe di armamenti, in linea con quelle che (in una certa fase) sono sembrate essere le richieste di Washington. Mosca, a sua volta, ha espresso in varie occasioni la sua disponibilità a negoziare in base a una piattaforma più ampia rispetto a quella del New start e che includa anche temi “caldi” come quello delle armi ipersoniche, della militarizzazione dello spazio, delle armi strategiche convenzionali e del futuro del Comprehensive nuclear-test-ban treaty (Ctbt), la cui entrata in vigore continua a essere impedita dalla mancata ratifica da parte di otto Stati dell’Allegato II, fra i quali Stati Uniti e Cina.

Le voci che circolano riguardo alla disponibilità russa a un rilancio del trattato Open skies costituirebbero un altro segnale dell’apparente ritorno di Stati Uniti e Russia al dialogo. Il punto più problematico resta quello dall’estensione ad altre parti di un eventuale nuovo accordo. La volontà dell’amministrazione Trump di coinvolgere la Cina ha rappresentato, in passato, il principale fattore di stallo nei negoziati. Oggi l’atteggiamento del presidente Biden non appare molto diverso, così come non appare molto diverso quello di Pechino.

Oltre a potenziare il suo arsenale sul piano quantitativo, la Repubblica Popolare è, inoltre, attivamente impegnata in un processo di modernizzazione volto ad accrescerne le possibilità di sopravvivenza e second strike. Sinora questi sviluppi non hanno portato una vera minaccia all’assetto globale, date anche le dimensioni relativamente ridotte dell’arsenale di Pechino. Negli stessi Stati Uniti, le opinioni sull’effettiva pericolosità del build-up cinese sono divergenti.

Rimane il fatto che gli strumenti per portare la Repubblica Popolare Cinese al tavolo negoziale sono pochi e poco efficaci. La stessa possibilità che Mosca, risolti i suoi problemi con Washington, contribuisca a ottenere questo risultato appare, quanto meno, remota. Nonostante la convergenza raggiunta sul New start, i rapporti fra Stati Uniti e Russia restano, infatti, difficili e non vi sono segnali che indichino che questo stato di cose possa cambiare, almeno nel prossimo futuro.

×

Iscriviti alla newsletter