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Migranti, Europa, Russia, le sterzate di Biden alla Casa Bianca

Di Elisa Maria Brusca

I cento giorni trascorsi sono stati la sfida di Biden non perché il mondo stesse a guardare, ma perché erano i cittadini stessi a tenere lo sguardo fisso sull’amministrazione democratica, a cui è stato chiesto di dimostrare che la democrazia e le sue istituzioni possano ancora funzionare e rispondere alle esigenze del popolo, nonostante le condizioni avverse. L’analisi di Elisa Maria Brusca, Geopolitica.info

Hallmark holiday. È così che David Axelrod, consigliere politico del presidente Obama, ha definito i primi cento giorni della presidenza e l’abitudine di riservare loro grande attenzione. Anche se adesso sembra scontato valutare questo lasso di tempo come un primo traguardo dal quale è possibile tastare la stoffa di cui è fatto un presidente, non è sempre stato così. Infatti, la data è divenuta di particolare importanza dopo l’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt, che in soli cento giorni riuscì a rallentare il deterioramento del sistema bancario e porre le fondamenta del celeberrimo New Deal. Il discorso di insediamento di Biden era stato ricco di promesse e speranze, ma aveva anche lasciato intravedere tracce di pragmatismo celate dietro l’amministrazione democratica. A cento giorni dal discorso d’insediamento il presidente Biden ha tenuto fede ad alcune delle promesse fatte e ne ha disattese altre. Quali?

Prima ancora del suo insediamento Biden aveva stilato un piano per il contenimento della pandemia da Covid-19. Durante l’inaugural address il presidente democratico aveva rassicurato il popolo circa la possibilità di sconfiggere il virus. Le prime azioni di contrasto hanno visto la creazione di una task force, l’impulso verso una legislazione ad hoc e il rientro nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, da cui Trump aveva ritirato il Paese. Il piano di distribuzione vaccinale implementato procede positivamente con 200 milioni di americani vaccinati, anche grazie ai finanziamenti giunti con l’American Rescue Plan. Quest’ultimo, la cui proposta era stata avanzata nei giorni antecedenti al suo insediamento, è un piano di stimolo di 1900 miliardi di dollari per supportare i business minori, la disoccupazione e la riapertura delle scuole. Il Piano è stato approvato dal Congresso nel marzo, sebbene con alcune modifiche sostanziali.

Tuttavia, il 78enne democratico nell’assolata Washington aveva anche fatto riferimento all’equità razziale. Tale obiettivo è stato più ostico da raggiungere in cento giorni, sebbene l’amministrazione abbia ancora margini di progresso. Impossibile non notare come, talvolta, l’operato della polizia abbia aumentato la ripidità della scalata verso il raggiungimento dell’equità. Biden aveva affermato che avrebbe istituito una commissione di controllo sulla violenza della polizia, ma ciò non ha avuto seguito così come non ne hanno avuto le investigazioni sui dipartimenti di polizia locali tese ad acclarare violazioni sistemiche dei diritti civili.

Il presidente democratico ha avuto le mani legate anche sul tema dell’accesso alle armi da fuoco, connesso alla sicurezza del Paese e, non da ultimo, delle scuole. Nonostante l’impegno, il potere di Biden si è dimostrato limitato. Infatti, le riforme da lui volute prevedrebbero dei cambiamenti legislativi rilevanti come il divieto di acquistare armi da assalto di tipo militare, soggetti all’approvazione del Congresso ostruito dai repubblicani.

L’amministrazione democratica si era anche impegnata sul fronte dell’immigrazione illegale negli Stati Uniti. A riguardo, Biden ha introdotto una legislazione che indica il sentiero verso la cittadinanza a coloro che sono stati introdotti nel Paese da bambini, seppur illegalmente. Tuttavia, trasformare il Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca) in qualcosa di permanente è più complicato del previsto o di quanto si credesse. Biden non è riuscito a conquistare la fiducia delle famiglie, che continuano a separarsi al confine tra Stati Uniti e Messico.

Sebbene l’aumento dei minori non accompagnati non sia stato facile da gestire, è stato costituito sin da febbraio un gruppo di lavoro preposto all’identificazione dei minori separati dai genitori. Nonostante le iniziative intraprese, riunire le famiglie continua ad essere un obiettivo non facilmente raggiungibile. Al contempo, sottrarre i fondi per la costruzione del muro tra Stati Uniti e Messico si è dimostrata una quesitone altrettanto complessa. Il Segretario della Sicurezza Interna Alejandro Mayorkas ha persino dichiarato che la costruzione di alcune porzioni del muro potrebbe riprendere a breve per sopperire a dei vuoti dovuti al fermo delle costruzioni voluto da Biden, che a loro volta hanno espanso le lacune della strategia democratica per l’immigrazione.

Sul dossier immigrazione Biden si è ulteriormente impegnato nel porre fine all’ordine esecutivo di Trump che proibiva ai viaggiatori di Paesi a maggioranza musulmana l’ingresso nel Paese. Biden ha promesso di porre fine alla pratica del “metering” che prevedeva l’istituzione di restrizioni giornaliere su quanti migranti potessero richiedere asilo. Tuttavia, sinora l’Amministrazione ha continuato a restringere il numero di richiedenti asilo attraverso due divieti, uno concernente i viaggi non essenziali e una sentenza dell’era Biden ai sensi del titolo 42 dell’United States Code. Sul capitolo immigrazione, dunque, il 78enne democratico non ha propriamente ottenuto esiti positivi.

Nonostante parli molto ai cittadini, come è stato notato anche in occasione dello State of the Union Address, Biden ha parlato molto anche agli alleati. Nel primo discorso di politica estera tenuto dal Dipartimento di Stato, il presidente si era fregiato di affermare che gli Stati Uniti fossero tornati e che la diplomazia fosse il la pietra angolare del loro approccio strategico.

Gli Stati Uniti sono tornati e pronti a lavorare insieme alle nazioni europee. Biden lo ha detto in diverse occasioni come la Conferenza sulla Sicurezza tenutasi virtualmente a Monaco che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Presidente francese, della Cancelliera tedesca, del Segretario Generale delle Nazioni Unite, del Segretario Generale della Nato e della presidente della Commissione europea. Il presidente e il Segretario di Stato hanno incontrato in diverse occasioni i partner regionali quali l’Unione Europea, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia. Gli alleati dell’area Indo-Pacifica Giappone, India e Australia si sono ritrovati al summit Quad.

Sono seguiti gli incontri 2+2 a Tokyo e Seul tra il Segretario di Stato Blinken, il Segretario della Difesa Lloyd e i loro omologhi giapponesi e sud-coreani per rinsaldare la cooperazione bilaterale e la forza delle alleanze. Non è passato inosservato che il primo ministro degli Esteri a varcare la soglia del Dipartimento di Stato statunitense sia stato proprio Di Maio. In parallelo, Biden ha accolto il primo Primo Ministro Suga alla Casa Bianca. Il presidente ha lasciato intendere che questo sarà solo il primo dei molti incontri che vedranno coinvolto il Giappone come testimoniato dal lancio della “Competitive and Resilience Partnership”.

Un’agenda fitta di impegni, perlopiù virtuali, per i primi cento giorni della presidenza di Biden e della sua amministrazione. Nonostante la moltitudine di incontri, questi sono stati rilevanti per discutere un nucleo di dossier strategici per gli Stati Uniti. In primis, è il revisionismo cinese, il catalizzatore degli sforzi, a preoccupare Washington ma anche la denuclearizzazione della Corea della Nord nonché il rientro nell’Accordo sul Nucleare hanno un peso rilevante nella politica estera statunitense.

Il Vecchio continente, però, non è stato dimenticato da Biden, anzi. Blinken, volato in Europa per incontrare gli stati membri della Nato, ha incontrato i rappresentanti dell’Unione Europea. Anche in quest’occasione, la Cina è stata una dei dossier sul tavolo. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell ha illustrato l’inizio del dialogo tra Stati Uniti e Unione Europa sulla Cina, occasione per dibattere rischi e opportunità connessi alla resilienza, ai diritti umani, alla reciprocità, alle questioni economiche, al multilateralismo e al cambiamento climatico.

Proprio il cambiamento climatico ha permesso l’incontro tra Washington e Pechino, riconosciuta come l’unico competitor potenzialmente capace di sfidare – sul fronte economico, diplomatico, militare e tecnologico – l’equilibrio del sistema internazionale. Il Leaders Summit on Climate ha permesso ad attori come il “killer” Putin di ritrovarsi seduti allo stesso tavolo. Eppure, rimane cruciale per gli Stati Uniti essere i leader della lotta al cambiamento climatico. Rientrare nel ring abbandonato da Trump è necessario per avere una chance di stabilire i termini della competizione secondo i valori e gli interessi di Washington, altrimenti i posti di lavoro persi saranno innumerevoli.

Se Biden si è posto in continuità rispetto a Trump, mantenendo le sanzioni poste in capo a Iran e Cina, le grandi novità vengono dai teatri di guerra. A gennaio, gli Stati Uniti avevano dichiarato che non avrebbero più supportato l’offensiva saudita nello Yemen, coinvolto in una guerra civile che dura da oramai sei anni e che “ha creato una catastrofe umanitaria e strategica”. Quando ormai si pensava che la data di ritiro fissata per il 1° maggio fosse divenuta carta straccia, l’ennesima proroga già annunciata, Biden ha confermato il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. Finirà così nel ventennale del conflitto l’impegno multigenerazionale la cui eredità ha coinvolto quattro presidenti.

Analizzare cosa si può fare e non fare in cento giorni non è necessariamente indicativo di quale valutazione accompagnerà la presidenza del 78enne democratico. Però cento giorni sono abbastanza per cogliere le priorità strategiche e lo stile governativo che caratterizzano e caratterizzeranno l’amministrazione democratica che dovranno far rientrare in porto un’America complessa, fiaccata dal Covid, che non può esimersi dal fronteggiare le sfide presenti e future. Dunque, i cento giorni trascorsi sono stati la sfida di Biden non perché il mondo stesse a guardare, ma perché erano i cittadini stessi a tenere lo sguardo fisso sull’amministrazione democratica, a cui è stato chiesto di dimostrare che la democrazia e le sue istituzioni possano ancora funzionare e rispondere alle esigenze del popolo, nonostante le condizioni avverse.

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