È abbastanza clamoroso che il leader del partito delle manette facili e del giustizialismo senza freni, per cui la presunzione di colpevolezza va sostituita a quella d’innocenza, sia diventato di colpo garantista e critico dei magistrati perché ad essere indagato è ora il figlio
Che se ne sia accorto o no (come è più probabile), Beppe Grillo, con la sua sfuriata a difesa del figlio, chi ha messo più in difficoltà è Enrico Letta.
Perché il neoeletto segretario del Pd tutto può in questo momento giustificare, ovvero su tutto può chiudere un occhio, ma non sul tono e sugli argomenti classicamente maschilisti che il Garante ha usato nei pochi minuti del video postato sul suo blog.
Certo, è abbastanza clamoroso che il leader del partito delle manette facili e del giustizialismo senza freni, per cui la presunzione di colpevolezza va sostituita a quella d’innocenza, sia diventato di colpo garantista e critico dei magistrati perché ad essere indagato è ora il figlio. Ma alle opportunistiche palinodie il Movimento ci ha abituato, e anche al familismo amorale come si diceva un tempo.
Gli anti-Casta, lo abbiamo detto più volte, si son trasformati a loro volta in una “Casta”. E passi pure il tentativo di influire sull’imminente sentenza di rinvio a giudizio, visto che purtroppo anche il più essenziale alfabeto istituzionale è da un po’ saltato in Italia. Ma minimizzare un’accusa di stupro, e criticare la vittima per il ritardo con cui ha sporto denuncia, tocca non solo sensibilità profonde, ma anche uno dei cardini della filosofia su cui il Pd di Letta si sta rifondando. Come potrà Letta giustificare davanti al Partito, e soprattutto alla componente femminile che deve nelle sue intenzioni fare da traino alla rinascita, un’alleanza fosse pure tattica e non strategica (come la volevano Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti), con il partito di Grillo? L’imbarazzo generale al Nazareno è evidente in queste ore, e fa contrasto con l’intervento fulmineo, anch’esso via video, di Maria Elena Boschi, che con i suoi familiari era stata vittima del giustizialismo grillino.
La capogruppo alla Camera di Italia Viva con una perfida spietatezza ha messo in primo piano proprio gli aspetti misogini delle parole di Grillo. Letta si è perciò trovato in una morsa, una sorta di tenaglia in cui il suo silenzio ha pesato come un carico di ferro. Egli, in effetti, sembra sempre più in difficoltà, non avendo spazi di alleanza né a destra e né a sinistra. Paradossalmente, oggi chi più è in sintonia con il segretario piddino è Forza Italia, o almeno la sua parte ministeriale e “di sinistra” (in generale il partito sembra spaccato in due, fra un’ala che guarda alla Lega e l’altra al Pd).
Probabilmente, Letta ha nel suo arco una sola freccia in questo momento: sperare, anche se non può dirlo, che il Movimento, ormai in uno stato incredibile di confusione oltre che di divisione, imploda definitivamente nel giro di pochi mesi e i suoi voti trasmigrino verso i lidi del Pd e della sinistra. Non è scontato. Sarà comunque un processo lento e pieno di insidie, tanto più che chi esce altrettanto indebolito dalle evoluzioni di questi giorni (non solo dal video ma anche dalla evoluzione delle vicende giudiziarie e politiche legate a Rousseau) è il capo politico in pectore.
Giuseppe Conte, investito direttamente da Grillo, si starà rendendo conto che non gli giova né essere associato strettamente a lui, né avere il fiato addosso di colui che comunque è il capo del Movimento. E che non ha il minimo senso della politica e non sa calcolare le conseguenze delle sue imprevedibili uscite. D’altronde, anche esigere da Grillo che faccia un passo indietro (ammesso che Conte ne abbia la forza), potrebbe non essere conveniente per l’ex presidente del Consiglio. Senza il Garante che gli copre le spalle (per quanto ancora?), rischia di ritrovarsi in una gabbia con feroci leoni pronti a sbranarlo. Ed è da presumere che le bestie si inferociranno sempre più man mano che si avvicina la fine della legislatura e le prospettive di rielezione tenderanno per i più ad annullarsi.