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Diritti umani e migrazioni. Il caso delle Isole del Pacifico

Di Giulia Margiotta

Assicurare che i diritti umani dei migranti interni e transfrontalieri siano rispettati, protetti e realizzati in ogni stadio del loro spostamento deve essere un obiettivo essenziale anche quando la migrazione si verifica in seguito ai cambiamenti climatici e l’attenzione deve essere maggiore proprio a fronte della multi-causalità del fenomeno

(Analisi realizzata per l’esame di Giustizia ambientale e Lotta al cambiamento climatico di Stefano Laporta e Gianfranco Nucera del corso in Relazioni Internazionali e Sicurezza Globale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Roma “Sapienza”)

“La più grande minaccia ai diritti umani nel ventunesimo secolo”, così l’ex Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Mary Robinson ha definito il cambiamento climatico. I disastri naturali provocati da questa emergenza globale sono destinati ad accrescere in modo massiccio il movimento di esseri umani su larga scala, ponendo in serio pericolo i diritti umani dei migranti sia interni sia transfrontalieri. Nonostante l’Ipccc abbia riconosciuto la migrazione umana come conseguenza principale dei cambiamenti climatici fin dagli anni ’90, non esiste ancora una definizione giuridica di “rifugiato ambientale”, inteso come la persona che abbandona la propria casa o il proprio Stato a causa di disastri naturali ad insorgenza rapida o graduale derivanti dalla crisi ambientale. Eppure, il degrado ambientale causa più migrazioni a livello globale dei conflitti armati, come annunciava il World Disaster Report già nel 2001, dato destinato a raggiungere i 250 milioni di profughi ambientali entro il 2050, secondo le stime dell’Unhcr e dell’Oim.

Gli impatti dei cambiamenti climatici si verificano a diverse velocità e intensità, distinguendosi principalmente tra eventi naturali a insorgenza rapida e ad insorgenza lenta. I primi hanno un impatto immediato e un tempo limitato, come uragani, temporali, inondazioni. I secondi implicano trasformazioni graduali, sono difficili da prevedere e hanno una durata prolungata, come l’innalzamento del livello del mare, l’aumento delle temperature, la desertificazione, l’acidificazione degli oceani, il ritiro glaciale, la salinizzazione, il degrado del suolo e delle foreste, la perdita di biodiversità. Tali fenomeni che erodono lentamente il pianeta terra mettono a rischio i mezzi di sussistenza, le risorse e i diritti umani degli individui, influenzando la mobilità umana. Tuttavia, è ancora impegnativo determinare una correlazione tra tali elementi, così come una tutela giuridica ad hoc, visto che il cambiamento ambientale spesso concorre assieme al contesto socio-economico e agli equilibri politici nel determinare le cause della migrazione. Pertanto, è necessario che la comunità internazionale pianifichi delle soluzioni a lungo termine in una prospettiva di tutela dei diritti, come già previsto all’interno dell’Accordo di Parigi, che definisce il cambiamento climatico come “preoccupazione comune dell’umanità”.

Le fattispecie di danno e degrado ambientale molto gravi possono porre a serio rischio di violazione numerosi diritti, primo su tutti il diritto alla vita, per cui è necessario che lo Stato adotti misure positive per assicurarne la protezione. Il diritto ad un cibo adeguato può essere compromesso dall’interruzione delle fonti alimentari, dalla perdita di mezzi di sussistenza, e in particolare da processi a lenta insorgenza come la salinizzazione o la desertificazione; vale a dire impatti particolarmente incisivi nei paesi in via di sviluppo che affrontano già problemi di malnutrizione e fame. L’innalzamento del livello del mare comporta la salinizzazione delle fonti di acqua dolce, la siccità riduce l’accesso all’acqua e le inondazioni ne compromettono la qualità. Dunque, le conseguenze dei cambiamenti climatici minano non solo il pianeta terra, ma anche la salute umana, per cui bisogna garantire che tutti i migranti godano del più alto livello raggiungibile di salute fisica e mentale, tramite un accesso ai servizi senza discriminazioni.

In un tenore di vita adeguato rientra anche il diritto ad un alloggio appropriato, sicuro e accessibile, consono alla dignità umana e che fornisca protezione contro gli sgomberi forzati. Tutti i suddetti diritti devono essere ancorati alla solida base dei principi di non discriminazione e di dignità umana, specialmente per lo stato di insicurezza in cui versano i migranti ad ogni stadio del loro movimento. In particolare, i soggetti esposti ad una condizione di vulnerabilità maggiore sono i bambini, a causa delle loro esigenze di sviluppo; le donne per le possibili diseguaglianze di genere e rischi di violenza; i disabili per la mancanza di servizi di adattamento adeguati ai nuovi rischi; i popoli indigeni, le minoranze e gli attivisti.

Non c’è un unico quadro giuridico entro cui inquadrare la protezione di coloro che sono costretti a lasciare il proprio Stato a causa di fenomeni estremi legati al clima ed è rilevante come vi siano delle lacune nella protezione dei migranti nel diritto internazionale.

La Convenzione di Ginevra del 1951 all’art. 1 qualifica il rifugiato come una persona che teme a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, per cui la definizione di “migrante climatico” tutt’oggi non incontra uno dei cinque criteri di ammissibilità. È difficile identificare un singolo evento scatenante in queste circostanze, visto il concorso di responsabilità da parte degli Stati nel contribuire al cambiamento climatico. Il principio di non-refoulement protegge il rifugiato da trattamenti crudeli, inumani o degradanti e, considerato il numero sostanzioso di migranti ambientali, esso deve essere interpretato in prospettiva evolutiva. Inoltre, i conflitti ambientali possono verificarsi in corrispondenza di eventi a lenta insorgenza, esacerbando così il fenomeno migratorio a seguito di violente crisi sociali, sviluppatesi all’interno di paesi già molto vulnerabili, con minore capacità di adattamento e maggiore scarsità di tecnologie per interventi mirati.

Il diritto internazionale dei diritti umani tutela i migranti che si muovono a causa dei cambiamenti climatici, ad ogni stadio del loro spostamento, ma nonostante il contributo delle organizzazioni internazionali principali, negli anni le politiche migratorie degli Stati si sono presentate come inadeguate. È sufficiente considerare la diffusa tendenza alla criminalizzazione dei migranti e le direttive sui rimpatri, varate al di fuori di una politica comune a livello comunitario. La costruzione di muri e barriere, la perpetrazione di violenze e respingimenti sono sintomi della mancanza di volontà da parte dei governi di agire sulle cause profonde dei nuovi esodi ambientali. Anche nel diritto ambientale la giurisprudenza sta cercando di dedicare uno spazio crescente al tema degli spostamenti determinati dai disastri ambientali. La Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo stabilisce dei principi cardine del diritto ambientale, tra cui le responsabilità comuni ma differenziate, il principio di precauzione e di cooperazione, la responsabilità verso le generazioni future e la protezione ambientale come aspetto dello sviluppo sostenibile. Nel 1996 è entrata in vigore la Unccd per combattere la desertificazione con un focus sulla mobilità umana, ripreso successivamente anche dal Piano d’azione di Bali, dagli Accordi di Cancun, dal Meccanismo di Varsavia per le perdite e i danni climatici e dall’Accordo di Parigi.

Le Isole del Pacifico o Small Islands Developing States (Sids) rientrano nei cosiddetti climate change “hotspots” e costituiscono un caso di studio significativo nel rapporto tra cambiamenti climatici, mobilità umana e diritti umani. Esse sono particolarmente esposte a fenomeni quali: innalzamento del livello del mare e delle temperature, salificazione delle acque, erosione delle coste, acidificazione degli oceani, riduzione delle fonti di proteine marine. Per tali isole con una economia basata sull’oceano che si dedica ad attività legate al commercio marittimo e al turismo, gli impatti di questi cambiamenti sono rilevanti per il loro sostentamento e la loro qualità della vita, diventando di conseguenza paesi dipendenti dagli aiuti. Proteggere le comunità tramite strategie di adattamento basate sull’ecosistema e soluzioni climatiche sostenibili è ora più che mai essenziale per la sopravvivenza dei territori, per cui i leader delle Sids sono molto attivi nello sviluppo di politiche climatiche e nel rispetto dell’Accordo di Parigi. Il rischio della perdita delle terre e del degrado delle risorse è particolarmente incisivo per le popolazioni indigene, dato che il territorio costituisce un forte collante per l’identità della comunità, dunque la sfida è riuscire a definire un quadro che garantisca una protezione effettiva alle popolazioni colpite. I dislocamenti sono prettamente interni dalle isole rurali alle isole urbane più centrali, tuttavia vi è una forte tensione tra il trasferimento programmato come ultima alternativa e la necessità di pianificare tale movimento, tramite la redazione di linee guida.

Il caso Teitiota c. Nuova Zelanda preso in carico dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, con pronuncia del 24 ottobre 2019, rappresenta un caso emblematico attorno al tema del cambiamento climatico e dei diritti umani, e trova inoltre le sue radici proprio in una Sids. Il ricorrente cittadino della Repubblica di Kiribati aveva presentato domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato dinnanzi alle autorità della Nuova Zelanda a seguito dell’insostenibilità della vita nell’isola determinata dagli impatti climatici. A fronte del rigetto della stessa e del respingimento verso la sua isola, aveva ritenuto che il proprio diritto alla vita fosse stato violato. La Corte si è trovata a prospettare l’applicazione del principio di non-refoulement anche in relazione a situazioni di pericolo derivanti da cambiamento climatico, ma anche a riconoscere che il degrado ambientale contribuisce a ridurre il godimento del diritto alla vita, inteso in senso estensivo.

Assicurare che i diritti umani dei migranti interni e transfrontalieri siano rispettati, protetti e realizzati in ogni stadio del loro spostamento deve essere un obiettivo essenziale anche quando la migrazione si verifica in seguito ai cambiamenti climatici e l’attenzione deve essere maggiore proprio a fronte della multi-causalità del fenomeno. La cooperazione internazionale, l’assistenza, il trasferimento di tecnologie e informazioni sono obblighi alla base di tutta la comunità internazionale. È quindi necessario interpretare i quadri giuridici sui diritti umani, l’ambiente e i rifugiati in senso evolutivo, tenendo in considerazione che il degrado ambientale costituisce una minaccia crescente e un fattore di spinta ulteriore per aumentare la mobilità umana.

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