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Basta correnti e sì alla responsabilità dei magistrati. L’ex pm Capaldo sulla riforma

Giancarlo Capaldo, già procuratore aggiunto della procura di Roma, commenta la proposta di riforma contenuta nel Pnrr. Ma parla anche del caso Palamara, delle correnti che decidono le carriere, e della prescrizione, tema che spacca la maggioranza. Il suo pronostico è realista: “Niente riforma, niente fondi? E allora in Italia ed Europa ci sarà il solito gioco delle parti”

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), circa 20 pagine su oltre 300 sono dedicate alla riforma della giustizia. La ministra Marta Cartabia in un’intervista alla Stampa ha tratteggiato i punti principali: riduzione dei tempi della giustizia, assunzione di personale, digitalizzazione. Ma le modalità saranno definite in una legge delega che sarà poi seguita da decreti legislativi. Formiche.net ha chiesto un parere sul progetto di riforma a esperti del settore. Ieri abbiamo pubblicato l’intervista al presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, oggi abbiamo parlato con Giancarlo Capaldo, già procuratore aggiunto alla procura di Roma e responsabile della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, autore del romanzo “I delitti di via Margutta” (Chiarelettere).

Dottor Capaldo, che impressione ha della riforma?

Per ora siamo davanti a un progetto estremamente generico. Dire di voler accelerare i tempi della giustizia, sia civile che penale, è lodevole. Ma la giustizia è lenta dai tempi di Giustiniano. Purtroppo la velocità non si decide con una norma, dipende dall’intero sistema.

Assumere più personale è un buon inizio, no?

Certo, ma anche qui conta la qualità delle persone assunte. Purtroppo alcuni concorsi o non si fanno o non producono sempre una classe amministrativa adeguata. E anche tra i magistrati negli ultimi 15 anni si è visto un netto calo della cultura giudiziaria. Ma non è solo un pm in pensione che parla dei bei tempi andati, anche in quelli c’era il bene insieme al male. L’evidenza del decadimento è nel caso Palamara, ma mi sembra che si stia facendo di tutto per ridurne il significato.

Ci spieghi meglio.

Il cosiddetto sistema Palamara ha scoperchiato il problema delle correnti. Solo chi appartiene a una corrente può far carriera e, in molti casi, si fa carriera solo in virtù dell’appartenenza ad essa, indipendentemente dalle qualità o dai meriti sul campo. Dunque ai vertici degli uffici arrivano solo personaggi che rispondono a precise caratteristiche di fedeltà alle correnti. Palamara è stato molto chiaro al riguardo. La logica delle correnti non è soltanto una logica di assegnazione dei posti direttivi, ma incide sul contenuto stesso dell’esercizio della giurisdizione.

Palamara era solo uno dei tanti abitanti di quel mondo, di cui hanno usufruito anche coloro che oggi prendono le distanze e fingono di non sapere di averne fatto parte. La regola economica della moneta cattiva che scaccia quella buona è perfettamente rispettata anche in questa materia.

Perché non si è cercato di intervenire su questo punto?

Purtroppo non vedo una grande spinta riformatrice nel Csm, nonostante le storture emerse in questi due anni. La ministra riconosce un ruolo positivo alle correnti, se si limitano a discutere di princìpi. Ma da quando non si sentono più dibattiti, nelle correnti, sui princìpi della giustizia e sulle modalità di realizzazione? Da troppo tempo ormai esistono solo logiche spartitorie. Per questo io ritengo si debbano introdurre norme che impediscano alle correnti la funzione di gestione della magistratura, lasciando intatta la loro funzione di luoghi di dibattito sui temi della giustizia. Non ci può essere un Csm imparziale con tutte quelle trame politiche. Ma, come abbiamo visto più volte, chi tocca i fili muore. 

Fa impressione sentirlo dire da un ex pm.

Io sono, ad esempio, favorevole alla introduzione di norme che rendano efficace il principio della responsabilità dei magistrati. Essi hanno un grande potere e una grande autonomia, entrambi da tutelare, ma  devono essere accompagnati da una corrispondente consapevolezza della loro responsabilità. Altrimenti i cittadini perdono la fiducia nella giustizia e ci troviamo in una situazione come quella attuale. 

Come andrebbero riscritte le regole del processo penale?

Mettendo al tavolo avvocatura e magistratura, e accompagnando alla porta chi ci ha provato (senza riuscirci) in questi vent’anni. Si potrebbero fare interventi di grande respiro ma purtroppo ritengo che i tempi non siano maturi. Ci si potrebbe allora concentrare su interventi mirati e limitati che consentano un miglior funzionamento del sistema esistente. Solo a titolo di esempio, sarebbe sufficiente modificare le norme del processo penale in pochi punti (quindici/venti al massimo) per consentirne pragmaticamente un miglioramento. Non bisognava aspettare che l’Europa ci mettesse davanti al bivio “niente riforma, niente fondi”. Adesso, bisogna scegliere, prendere una strada netta su cui il governo si assuma la responsabilità e portarla fino in fondo. Ma in Italia non siamo bravi a fare delle scelte nette. 

Si riferisce alla riforma del 1989 che avrebbe dovuto trasformare il sistema inquisitorio in accusatorio?

Anche. Alla fine è uscito fuori un pasticcio che non è né carne né pesce, né un sistema inquisitorio né un sistema accusatorio. Il giudice non è sempre in posizione terza rispetto all’accusa. Le intercettazioni hanno un ruolo spesso deformante della realtà e finiscono troppe volte in dibattimento invece di fermarsi alla fase di indagine. E così anche per testimonianze e altre prove. Ma questo è un discorso troppo lungo.

Cosa pensa della prescrizione? Sulla legge Bonafede c’è grande contrasto nella maggioranza.

Non guardo alla provenienza politica ma al principio: la prescrizione serve quando lo Stato si disinteressa di te e ti lascia appeso per anni in attesa di un verdetto. Lì è fondamentale e va preservata. Ma quando una serie di pm e decine di giudici seguono un caso complicatissimo, tra lunghe indagini, fiumi di testimoni, consulenti, analisi tecniche, senza che ci sia un vero “abbandono” da parte delle autorità, allora non si può arrivare in Cassazione e decretare la morte di quel processo. Occorre trovare una soluzione. E’ assolutamente importante che qualunque processo possa essere definito in tempi accettabili.

Una previsione?

Posso essere ottimista e sperare che in un mese e mezzo si riesca a intervenire su questioni ferme da 30 anni. Posso però essere anche pessimista e dirle che non cambierà sostanzialmente nulla. O posso essere realista come mi suggerisce l’esperienza, Ci sarà il gioco delle parti, in cui noi promettiamo di cambiare tutto e a Bruxelles fingeranno di crederci. In fondo, c’è una certa ironia nel farsi dare lezioni di sburocratizzazione dall’Unione europea. 


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