Vettori intercontinentali, missili a planata ipersonica e testate nucleari in via di modernizzazione. L’arsenale della Cina preoccupa gli Stati Uniti più della Russia. Il comandante dello StratCom ha descritto le “politiche molto opache” di Pechino in tema nucleare, mentre l’Esercito popolare di liberazione schiera nuove brigate missilistiche
Più della Russia, è la Cina ad accrescere la preoccupazione “nucleare” degli Stati Uniti. Le Forze armate di Pechino sono impegnate da anni nel processo di modernizzazione del proprio arsenale, sia sul fronte delle testate, sia in campo missilistico. Martedì scorso, a dare la cifra della preoccupazione statunitense è stato l’ammiraglio Charles Richard, comandante dello US Strategic Command, con una testimonianza scritta presentata al comitato Armed Services del Senato americano.
L’ALLERTA NUCLEARE
Richard ha descritto la politica “molto opaca” della Cina in campo nucleare, tanto da rendere “difficile determinare le sue intenzioni”. Il Dragone, stando alle “prove” citate dallo StratCom, avrebbe messo le sue forze nucleari in stato di allerta maggiore, quella che gli Usa definiscono “Launch on warning”. Di più: “I progressi che hanno compiuto sulla piattaforma in rete e integrata consentiranno processi decisionali di livello superiore e una reazione più rapida”.
UNA POLITICA “MOLTO OPACA”
Secondo l’autorevole istituto svedese Sipri, la Cina avrebbe a disposizione 320 testate nucleari, ben poche rispetto alle 5.800 degli Usa e alle 6.300 della Russia. Eppure, rispetto agli Stati Uniti, ha ricordato Richard, “Cina e Russia hanno capacità significative per produrre più testate”. A preoccupare è soprattutto il Dragone d’Oriente, per cui l’ammiraglio americano ammette un gap di comprensione. “Non passa una settimana senza che io apprend qualcosa che non sapevo sulla Cina”, ha scritto Richard. Ciò vale anche per la dottrina nucleare. Se la Guerra fredda ha consentito di maturare una discreta esperienza sui rapporti “nucleari” con la Russia, lo stesso non può dirsi della Cina, che tra l’altro resta estranea al regime di controllo degli armamenti che affonda le radici nel confronto bipolare.
LE FORZE DI PECHINO
Tra l’altro, oltre alle testate, Washington teme soprattutto i missili del Dragone, capaci di essere armati convenzionalmente e nuclearmente (con tutte le conseguenze a livello di pianificazione che ciò comporta per l’avversario, il noto rischio di “miscalculation”). Recentemente, su DefenseOne, l’analista di BluePath Labs Ma Xiu ha offerto ampia panoramica sull’arsenale cinese a disposizione delle Forze missilistiche dell’Esercito Popolare di Liberazione (Plarf), le quali si sono dotate dal 2017 di ulteriori dieci brigate (“un aumento di oltre un terzo”). Il vettore “più dispiegato” è il DF-26, un missile intercontinentale a raggio intermedio (da tremila chilometri a 5.500), rivelato nel 2015 e ormai piazzato dal nord-ovest al sud-est del Paese. Secondo il Pentagono le forze cinesi ne avrebbero a disposizione circa 200.
I VETTORI INTERCONTINENTALI
Nella categoria intercontinentale (oltre i 5.500 chilometri di gittata) rientra il DF-31AG, variante potenziata del DF-31, apparsa per la prima volta nel 2017. È impiegato da tre brigate (“forse quattro”, nota Xiu) e citato nel Libro bianco della Difesa cinese del 2019 come colonna dello strumento di deterrenza di Pechino. Nel 2019 è stato poi rivelato il DF-41, missile balistico intercontinentale, ritenuto capace di raggiungere Europa e Stati Uniti in circa 30 minuti, trasportando fino a dieci testate indipendenti, convenzionali o nucleari, con lancio da silo o da base mobile. A giugno scorso, nel pieno della pandemia, il direttore di Global Times Hu Xijin invitava il governo cinese ad aumentare il numero di testate nucleari fino a mille e di arrivare a una disponibilità di almeno cento DF-41. Per ora, spiega Xiu, nessuna brigata sembra averlo in dotazione, ma si sospetta che possa essere presto nelle disponibilità della 644esima (ad Hanzhong, provincia di Shaanxi, nella Cina centrale) e della 662esima (con base a Sundian, provincia di Henan, a est). Immagini satellitari avrebbero rivelato anche la costruzione in Mongolia di una base di lancio idonea ai DF-41.
MISSILI DA CROCIERA…
“Si sa meno – ammette Xiu – del missile da crociera lanciato da terra CJ-100”. È stato rivelato nel 2019 e considerato capace di raggiungere obiettivi distanti duemila chilometri. “Alcune prove – spiega l’esperto – suggeriscono che la prima unità a impiegarlo sarà la 656esima privata, basata nella Cina orientale sulla penisola di Shandong”. In altre parole, il vettore potrebbe raggiungere il Giappone o, con funzione anti-nave, le imbarcazioni nel già surriscaldato bacino del Mar cinese orientale.
…E ARMI IPERSONICHE
Grande protagonista della parata del 2019 per il 70esimo anniversario della Repubblica popolare, fu però il DF-17, la punta di diamante degli sviluppi del Dragone nel campo della missilistica ipersonica. Il primo annuncio su un doppio test risale a novembre del 2017. Si tratta di un vettore balistico (Mrbm) che supera l’atmosfera per rientrarvi e acquistare maggiore velocità. A differenza dei tradizionali missili di questo tipo, però, il DF-17 si colloca nella categoria dei veicoli a planata ipersonica (Hgv) poiché, dopo essere rientrato nell’atmosfera a un angolo più stretto, vola in planata spostando la parte finale della caduta balistica, il tutto a velocità ipersonica, superiore a Mach 5. Ciò rende il missile molto più imprevedibile, senza perdere manovrabilità, per un range che, nel caso del DF-17, si stima possa arrivare a 2mila chilometri trasportando testate convenzionali e nucleari.
IL MISSILE DF-17
È proprio il DF-17 ad aver convinto gli Stati Uniti a dover accelerare nel campo della missilistica ipersonica, identificato anche dalla Nato come “una delle tecnologie che rivoluzioneranno il modo di fare la guerra”. Avrebbe un range fino a 2.500 chilometri e una precisione “nell’ordine dei metri”. L’anno scorso il South China Morning Post ne ha riportato il dispiegamento nel sud-est della Cina. Secondo Xiu sarebbe già in dotazione alla 627 brigata delle Plarf, nella provincia di Guangdong, di fronte a Taiwan.