Il nuovo rapporto I-Com spiega perché e come puntare sul cloud, il “pilastro della transizione digitale”. I vantaggi per grandi aziende, Pmi e Pa, la sicurezza e la competitività necessarie per il rilancio tecnologico, il piano europeo per catalizzarlo
Se ci fosse ancora qualche dubbio sull’inevitabilità della transizione digitale, i lockdown li hanno spazzati via. Mai come adesso è chiaro che gran parte delle nostre vite, specie quelle lavorative, si appoggiano sul web. I dati sono il nuovo petrolio e il settore che li supporta vale €350 miliardi solo in Europa, secondo le ultime stime dell’Istituto per la Competitività (I-Com), ma la crescita dirompente lo porterà a quota 550 miliardi nel 2025.
Il rapporto I-Com sul futuro del cloud italiano ed europeo prende atto della situazione attuale e offre gli spunti per guardare avanti. Nel segno della competitività e della sicurezza, le due stelle polari che devono guidare la costruzione di quello che il sottosegretario allo sviluppo economico Anna Ascani ha definito “il pilastro della transizione digitale”.
Parlando all’evento di presentazione del rapporto, organizzato da I-Com e Open Gate Italia, Ascani ha rilevato che il cloud è una tecnologia abilitante; essa permette di aumentare l’efficienza e la flessibilità delle aziende (grazie alla decentralizzazione delle banche dati) nonché democratizzare l’accesso ai servizi e alle funzioni ad alta tecnologia, permettendo anche alle piccole realtà di potenziare il proprio operato.
Il rapporto I-Com parla chiarissimo: “una piena adozione di soluzioni di cloud computing da parte delle aziende italiane potrebbe comportare un aumento di fatturato fino a 600 miliardi di euro, di cui oltre la metà a beneficio di piccole e medie imprese”. Per non parlare dell’impatto sulla pubblica amministrazione, che arriverebbe a risparmiare oltre 1 miliardo all’anno.
Avendo rintracciato nel cloud il catalizzatore tecnologico dei prossimi decenni, “finalmente anche l’Europa guarda alle nuvole”, ha commentato il sottosegretario agli Affari europei Vincenzo Amendola. Destinando il 20% di ogni piano nazionale di ripresa pandemica alla transizione digitale, per la precisione.
Come ha spiegato Roberto Viola, direttore generale del dipartimento reti di comunicazione, contenuti e tecnologie della Commissione europea, Bruxelles ha messo a punto una “bussola digitale”. I punti cardinali sono la competenza digitale, l’infrastruttura e la connettività (fondamenta del cloud), la trasformazione dell’impresa e quella della pubblica amministrazione, portando i servizi dello Stato “nelle mani dei cittadini”.
Inoltre, ha rimarcato il presidente di I-Com Stefano da Empoli, la tecnologia in questione è – semplicemente – strategica. Oggi l’Ue, che fa grande affidamento su servizi e infrastrutture extraeuropee, sta pensando alla propria “autonomia strategica”. Ma il “protezionismo digitale” a livello europeo o addirittura statale, ha continuato il presidente, può inficiare la varietà e la qualità dei servizi, causare difficoltà di certificazione e compliance normativa e paradossalmente ripercuotersi sulla sicurezza.
Esiste un precedente, evidenziato nel rapporto I-Com: il tentativo francese fallimentare di creare un cloud sovrano nel 2009. Una “soluzione più pragmatica” è quella britannica, lanciata nel 2012 e più aperta per natura, che consiste nel “diffondere l’utilizzo del cloud nel settore pubblico e agevolare l’acquisto dei servizi attraverso accordi con gli operatori privati (anche internazionali, europei ed extraeuropei)”.
Dunque la strategia nazionale del cloud andrà bilanciata a livello geopolitico tra l’apertura del mercato e la protezione dei dati. La soluzione secondo Amendola è costruire l’apertura “in un mondo multipolare, basandosi sulla reciprocità degli schemi regolamentari”, di sponda con l’America di Joe Biden che “permette un dialogo costruttivo”.
La risposta europea prende il nome di Gaia-X, il progetto condiviso di cloud a trazione franco-tedesca, capace di garantire l’interoperabilità tra i servizi e standard di sicurezza comuni ed elevati. In linea con gli spunti di policy presentati da Da Empoli, favorisce la concorrenza e assicura un ecosistema aperto e integrato senza compromettere sulla sicurezza.
Questa soluzione è da unire al piano regolamentare europeo evidenziato da Viola e basato sui pacchetti-legge Digital Services Act e Digital Markets Act. Ossia, proteggere le PMI dai grandi attori sistemici, garantire l’accesso al mercato e cementare le nuove regole sulla proprietà dei dati (in arrivo col Data Act “tra qualche mese”).
Ecco l’approccio europeo: una cornice regolatoria efficiente e il supporto tecnologico di Gaia-X, improntato alla competitività e alla sicurezza, per consentire ai 27 di presentarsi come attori capaci nell’economia digitale.
L’intervento dei tre parlamentari a fine evento ha evidenziato l’unità d’intenti della politica riguardo al cloud. Non è “mai stato un tema divisivo”, ha detto Luca Cabaretta, in quota M5s. La sintonia delle forze politiche in campo, effettivamente, è sconcertante. Il leghista Massimiliano Capitanio ha proposto “più poteri di controllo su infrastrutture e dati”, mentre Enza Bruno Bossio, del Pd, ha parlato di “bollo strategico nazionale”, ma tutti e tre si sono detti d’accordo con i risultati del rapporto I-Com: investire sul cloud e farlo nella cornice europea di interoperabilità, standard aperti e protezione, lasciando allo Stato il ruolo di regista.