“L’affidabilità delle regole di corporate governance è un elemento essenziale sia della tutela dei risparmiatori sia dell’investimento diretto estero.”
Questo uno dei punti da cui è partito ieri il commissario Consob Paolo Ciocca nel suo intervento nel webinar di presentazione del “Report sulla corporate governance 2020”.
Il tema della corporate governance spesso è trattato erroneamente da qualcuno come un insieme di regole e di ulteriore burocrazia che le aziende devono affrontare mentre invece permette la gestione dei conflitti nelle società di capitali.
Conflitti che spesso possono paralizzare le aziende e creare un danno per tutta la collettività.
Ecco di seguito l’intervento integrale:
Questo è un flagship Report della CONSOB che permette di monitorare nel tempo l’andamento delle variabili del governo societario delle imprese quotate. Si tratta perciò di un vero e proprio termometro del funzionamento della corporate governance in Italia, ossia della gestione dei conflitti nelle società di capitali. L’affidabilità delle regole di corporate governance sono un elemento essenziale sia della tutela dei risparmiatori sia dell’investimento diretto estero. Assetti proprietari, organi sociali, assemblee, gestione dei conflitti di interesse: il rapporto fornisce una fotografia rispetto agli ultimi dati disponibili. La fotografia, vista in comparazione temporale con quelle degli ultimi anni, delinea i trend che si sviluppano sul nostro mercato dei capitali. I presidi di governance influenzano direttamente gli equilibri tra interessi contrapposti, le strategie di crescita e la competitività della piazza finanziaria e perciò dell’economia capitalistica occidentale. Per la Consob, che è arbitro di queste vicende e garante di trasparenza, il rapporto è un fondamentale punto di riferimento di vigilanza e di policy.
Confido che da questo evento possano emergere interessanti spunti di riflessione per ciascuno.
Premesso questo in linea generale, desidero evidenziare in apertura le tre principali direttrici non solo del Report ma anche del dibattito attuale e prospettico sulla corporate governance.
Mi riferisco a:
- DIVERSITÀ, innanzitutto di genere, tipico esempio di cambiamento supportato dalla normativa. I board italiani sono divenuti negli anni più giovani, con più elevati livelli medi di istruzione e varietà di background professionale.
- SOSTENIBILITÀ: al centro dell’agenda dei policy maker, compresa la Consob. La sostenibilità è sempre più intrecciata alla corporate governance ed è diventata un elemento chiave per l’attrattività delle imprese. Il rapporto traccia le principali evidenze di questa innovazione.
- INNOVAZIONE TECNOLOGICA che riveste enormi potenzialità, anche come fattore abilitante della voice degli azionisti esterni, ma che è tutt’oggi ancora scarsamente sfruttata in Italia.
Dai dati presentati oggi emergono alcune caratteristiche strutturali del nostro mercato finanziario e alcune dinamiche a venire.
Per quanto concerne le caratteristiche strutturali, il mercato italiano resta a elevata concentrazione, pur confermandosi un moderato aumento della contendibilità delle quotate e del peso degli investitori istituzionali esteri. Il ruolo invece degli investitori domestici resta molto contenuto, con limitata liquidità del nostro mercato primario e secondario. Con riferimento ai meccanismi di separazione tra proprietà e controllo, continua a calare la quota di società appartenenti a gruppi piramidali o che emettono azioni di risparmio, si conferma il trend di incremento delle imprese che prevedono in statuto le loyalty shares.
Date queste caratteristiche di contesto, ritengo vadano rimarcati alcuni punti fermi.
Innanzitutto, l’importanza di adeguati presidi di governance a tutela dei rischi di espropriazione degli azionisti fuori dal gruppo di comando. Questi presidi rappresentano gli incentivi fondamentali, direi le pre-condizioni stesse per l’afflusso di capitali da parte di investitori esterni e per la liquidità e il buon funzionamento del mercato secondario. Di questi presidi, come hanno già detto le colleghe, l’Italia e la Consob in particolare sono stati precursori. Si pensi alla disciplina sulle OPC o sulle politiche di remunerazione, ma anche a tutto il dibattito in sede europea sul caso Wirecard, che va proprio nella direzione d’introdurre tutele (in termini di controlli sull’informativa finanziaria e di enforcement pubblico) già da tempo vigenti in Italia. Si pensi anche al voto di lista e alla trasparenza sui patti parasociali.
Vanno perciò, sempre in quest’ottica, senz’altro salutate con favore le novità introdotte in attuazione della SHRD2, quali l’obbligo di astensione degli amministratori in conflitto di interessi e il say on pay.
Un secondo elemento di interesse è il peso degli strumenti di trasparenza negli assetti proprietari e di promozione dell’impegno a lungo temine degli azionisti. In questo ambito, le loyalty shares (azioni a voto maggiorato), se applicate non in chiave espropriativa, ma col dovuto rispetto delle legittime preoccupazioni degli investitori istituzionali, possono giocare un ruolo nel facilitare trasparenza e interesse per la quotazione, premiando l’azionariato di lungo periodo. Se ben calibrata, si tratta di una soluzione più tutelante rispetto ad altri meccanismi di separazione tra proprietà e controllo, che – come emerge dal rapporto –sono infatti sempre meno graditi e utilizzati. Come sottolineato dal Prof. Belcredi, giudicheremo questo istituto nel tempo, valutandone anche eventuali possibili correttivi.
Terzo aspetto è il tema del delisting, ossia la decisione delle imprese di abbandonare il mercato di borsa. Da un recente quaderno Consob il delisting ha rappresentato il 62% del totale delle OPA promosse in Italia tra il 2007 e il 2019. Ci si domanda se il fenomeno possa essere associato a una certa disaffezione verso lo status di società quotata. Al riguardo, osservo che naturalmente l’exit è fisiologico e va guardato insieme ai numeri delle nuove quotazioni, senz’altro da incentivare, e più in generale al grado di liquidità del mercato, a sua volta generata dalla presenza degli investitori istituzionali. In altre parole, ritengo che il delisting vada inquadrato nel discorso più ampio dello sviluppo del mercato e di tutto l’ecosistema a supporto. In quello italiano gli investitori istituzionali, seppure in crescita, restano troppo pochi: ribadisco perciò l’importanza dei buoni presidi di governance.
Vi è poi anche il tema dell’adeguata informazione al mercato: il delisting è spesso associato – soprattutto in questo momento covid – al disallineamento tra i corsi azionari e i valori fondamentali impliciti dell’impresa, di non agevole valutazione. Questa asimmetria informativa in favore del gruppo di comando va riequilibrata per evitare dinamiche di espropriazione delle minoranze. Servono agli investitori esterni gli elementi realmente utili per poter valutare l’operazione (esempio dati sui comparator).
Lasciatemelo sottolineare, l’impegno della Consob sulla correttezza dell’informazione è massimo.
Su questo quadro generale degli assetti, relativamente statico o comunque di continuità nel tempo, si innestano le spinte dinamiche legate alle tre direttrici di cui ho accennato in apertura: diversità, sostenibilità e innovazione tecnologica, a mio avviso ben fotografate nel rapporto:
Diversità – è una rivoluzione in corso, alla quale la Consob ha contribuito. Con riguardo alla gender diversity nella composizione degli organi di amministrazione e controllo, la presenza femminile raggiunge a fine 2020 il massimo storico, riflettendo anche l’applicazione della Legge Golfo-Mosca e dei relativi recenti ulteriori rafforzamenti.
Non solo, anche i dati sull’interlocking femminile sono incoraggianti. Emerge dal rapporto Consob che, dopo una sensibile crescita iniziale, l’interlocking femminile si è stabilizzato nell’ultimo triennio. È importante sottolineare come questa stabilizzazione del dato non sia venuta meno nel 2020, quando già un terzo delle società quotate si è trovata ad applicare la nuova quota di genere del 40%. Sono elementi che lasciano sperare per trend strutturale di diminuzione dell’interlocking e perciò di maggiore apertura nei tempi a venire.
Inoltre, dall’analisi dei curricula degli amministratori svolta da Consob emerge che già oggi le donne rappresentano il 20% dei consiglieri in possesso di una laurea in materie scientifiche e tecnologiche. In prospettiva, la domanda continuerà a crescere con l’applicazione della nuova e più alta quota di genere da parte di tutto il mercato.
Sarà allora fondamentale neutralizzare le distorsioni di genere che vedono tuttora nel mondo una sotto-rappresentazione delle donne nello studio avanzato in discipline STEM (science, technology, engineering, mathematics) e minor occupazione e retribuzione pur a fronte di rendimenti scolastici migliori in queste materie rispetto agli uomini.
Sostenibilità – la sostenibilità è al centro delle politiche europee, mentre anche la nuova amministrazione americana si sta riposizionando sul tema. Nel frattempo il mondo finanziario corre molto veloce e la sostenibilità è già tra i principali elementi di attrattività delle imprese.
A che punto siamo in Italia? Si registrano segnali positivi riguardo le imprese ad elevata capitalizzazione, ad esempio il perseguimento del “successo sostenibile dell’impresa” ha acquisito centralità anche nel nuovo Codice di Corporate Governance. Assistiamo inoltre ai primi – ancorché sparuti (3) per ora – casi di società che hanno introdotto l’obiettivo di sviluppo sostenibile in statuto. Le società italiane a maggiore dimensione già inquadrano i temi di sostenibilità nella politica di remunerazione dei propri amministratori e vertici aziendali e nell’ultimo anno (dal 2019 al 2020) è quasi raddoppiato il numero delle società che hanno individuato nella politica di remunerazione del proprio CEO criteri di performance legati alla sostenibilità (da 33 a 63). Dal rapporto emerge anche che le competenze nell’ambito della sostenibilità sono sempre più citate come rilevanti dal board uscente.
Dunque, le nuove regole europee di disclosure e tassonomia favoriranno la canalizzazione di risorse verso le imprese che sapranno meglio conciliare i profili di profitto e sostenibilità. L’attenzione adesso deve crescere anche per le società medio-piccole, che hanno più sete di capitali per crescere.
Innovazione tecnologica – l’emergenza sanitaria ha dato enorme impulso all’uso della tecnologia e all’interazione a distanza, praticamente in tutti campi. Non assistiamo a questo stesso salto tecnologico da parte delle società di capitali italiane, quando andiamo a vedere le regole di partecipazione ai momenti decisionali.
Nella quasi totalità delle assemblee tenutesi nell’anno (92% dei casi), la partecipazione degli azionisti è avvenuta senza la presenza fisica dei soci, ma tramite il conferimento di deleghe in via esclusiva al Rappresentante Designato. Gli strumenti del voto a distanza sono stati adottati in pochi casi (11 assemblee); si è trattato in prevalenza del c.d. voto per corrispondenza, mentre il voto in forma elettronica è stato usato in appena 5 casi. L’assemblea da svolgersi esclusivamente mediante strumenti di partecipazione elettronica (c.d. virtual meeting) è perciò ancora molto lontana dalla prassi osservata.
Preme tuttavia rimarcare che la vigente disciplina italiana già consente l’utilizzo delle nuove tecnologie per la partecipazione e l’esercizio del voto a distanza fermi l’accertamento della legittimazione e la riservatezza del voto fino al momento dello scrutinio.
Bisogna allora affrontare le ragioni di questo ritardo, senza nascondersi dietro i c.d. bottleneck (colli di bottiglia) tecnologici, professionali e giuridici spesso avanzati a spiegazione. Su questo è necessario uno sforzo maggiore da parte delle nostre imprese, anche in collaborazione e dialogo con la Consob.
Il caso Gamestop apre a riflessioni in merito all’attivismo dei piccoli investitori tramite i social media. Il fenomeno potrebbe riproporsi anche nell’ambito dell’esercizio coordinato dei diritti delle minoranze (ad esempio per la presentazione di liste, l’integrazione dell’ordine del giorno delle assemblee, le azioni di responsabilità). In prospettiva il superamento della parcellizzazione del voto e il coordinamento dei piccoli azionisti può perciò influire in modo rilevante sulla vita delle società. Bisogna tenerne conto aprendosi a nuovi strumenti di governance e di vigilanza.
Dobbiamo, noi autorità di vigilanza, ma anche gli operatori del mercato di capitali, iniziare a parlare una lingua nuova, che sappia comprendere e sfruttare i social anche nell’educazione finanziaria. Dobbiamo modificare il nostro mindset preparandoci a quest’onda di cambiamento, a coglierne i benefici e anticiparne i rischi.
Concludo evidenziando come queste spinte dinamiche si intrecciano con le ulteriori evoluzioni del futuro prossimo. Mi riferisco in particolare all’aggregazione di Borsa Italiana in Euronext, con i relativi risvolti competitivi tra mercati continentali, che deve vedere la piazza milanese al centro di questa evoluzione, forte di una riconoscibilità sia del ruolo che in concreto negli investimenti futuri.
Vi è poi la necessità di accompagnare sul mercato nuove schiere di risparmiatori/investitori per sostenere la ripresa che si aprirà all’uscita dalla stagione pandemica.
Un’altra trasformazione in corso si lega al prossimo nuovo mercato della finanza digitale – cioè dell’offerta continentale ed armonizzata di strumenti digitali nativi (su Blockchain) tradizionali (azioni, obbligazioni) e innovativi (cryptoasset); a questo appuntamento il mercato italiano deve farsi trovare pronto, dal punto di vista regolamentare, di infrastruttura e di sicurezza.
Questi sviluppi rendono a mio avviso urgente avviare un cantiere sull’attuale diritto societario anche in chiave comparativa, per valutare cioè cosa della normativa interna non armonizzata rappresenti un’opportunità e cosa uno svantaggio competitivo e nella consapevolezza, comunque, che la direzione è quella già segnata dai fil rouge di cui abbiamo discusso oggi: diversità, visione di lungo periodo (dunque sostenibile) e innovazione tecnologica.