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Cosa (non) torna della gita sovranista di Salvini. Scrive Alli

Chi si aspettava un nuovo gruppo sovranista, un asse Roma-Budapest-Varsavia, è rimasto deluso. La gita di Matteo Salvini con Orban e Morawiecki si è risolta in un ritrovo fra (quasi) amici. E il matrimonio non s’ha da fare, per dieci motivi. L’analisi di Paolo Alli

Sembra esserci un terzo incomodo tra Matteo Salvini e Mario Draghi, dal quale il leader leghista dovrebbe guardarsi. Non è Giancarlo Giorgetti ma Viktor Orbán.

L’incontro a Budapest dello stesso Orbán con Salvini e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, annunciato tra squilli di trombe come l’inizio della nuova grande alleanza della destra europea, che supererà un Ppe ormai svoltato a sinistra non ha neppure prodotto lo straccio di un documento programmatico, che sempre accompagna la nascita dei grandi progetti politici.

Esistono numerosi motivi per i quali la sbandierata novità non potrà accadere. Andiamo per ordine.

  • La svolta di Salvini con il sostegno al governo Draghi è stata di portata storica per il centrodestra italiano ed europeo, ed è stata apprezzata, per quanto in modo non espresso, anche all’interno del Ppe.
  • La favola di un Ppe che ha svoltato a sinistra è una delle affermazioni che il leader della Lega sa coniare quando vuole affermare la sua originalità. In realtà, nessuno a livello europeo ci crede e neppure lo afferma. La collocazione del Ppe nell’ambito del centrodestra europeo è stabile come è sempre stata, e quanto ad aperture a sinistra, Salvini dovrebbe ricordare il suo accordo di governo con il Movimento 5 Stelle.
  • Da tempo il Ppe contestava ad Orbán una circostanza evidente anche allo stesso Salvini: il governo illiberale del proprio Paese, dove le libertà fondamentali non sono garantite. Per questa ragione Fidesz era stato messo in condizione di sospensione dal Partito popolare. Orbán aveva, di recente, inviato, come estremo – e provocatorio – tentativo di mediazione, una irricevibile proposta di membership a doppio livello, dove Fidesz avrebbe avuto libertà di scelte politiche pur restando dentro il Ppe.
  • Il partito di Orbán ha continuato a rimanere nel Ppe grazie all’incondizionato appoggio personale di Angela Merkel. L’ordine di Berlino, per la prima volta, non è stato seguito dal gruppo parlamentare del PPE, che ha approvato la modifica al proprio regolamento, causa contingente di un abbandono degli ungheresi già da tempo scritto. Questo fatto rappresenta anche un importante sintomo dell’indebolimento del peso politico della Cdu e della stessa Cancelliera.
  • Salvini sa che la sua unica strada in campo europeo, specialmente dopo il sostegno a Draghi, è quella dell’apertura di un dialogo con il Ppe, che non avrebbe preclusioni ad avviare questo dialogo, dal momento che riconosce nella Lega quelle caratteristiche di rispetto delle regole democratiche che Orbán aveva da tempo messo nel cassetto. Un dialogo che, senza necessariamente comportare una adesione della Lega al PPE, la gran parte degli europarlamentari leghisti (in modo non dichiarato, ovviamente) vorrebbe mettere in atto.
  • Orbán è l’unico vero orfano di una solida collocazione in campo europeo. Si agita, quindi, per cercare di ricreare le condizioni per un ritrovato protagonismo, solleticando astutamente la voglia di Salvini di uscire dall’attuale irrilevanza a Bruxelles senza però dare spazio al dialogo con il Ppe, il cui solo pensiero gli fa venire l’orticaria. Il presidente ungherese chiede poi aiuto ai polacchi di Pis che, a loro volta, non sono certo campioni di democrazia. Ma questa per Salvini potrebbe rivelarsi una trappola ancora più mortale di quella nella quale si trova ora.
  • Lo spazio politico per il nuovo gruppone non esiste. Dentro la destra europea si agitano anime molto diverse, il cui unico denominatore comune è la presenza, in misura più o meno rilevante, di una dose di euroscetticismo. Ciò non costituisce un collante sufficientemente forte, come dimostrano tutte le alleanze nate “contro” anziché “per”. I conservatori di Ecr costituiscono un gruppo solido e la loro leader Giorgia Meloni occupa già ora, in Italia, lo spazio politico che Salvini vorrebbe costruire in Europa. Lo stesso Orbán non potrà mai assumere posizioni apertamente ostili al Ppe, soprattutto perché l’Ungheria ha assoluto bisogno di una forte e stabile sponda da parte di Berlino (leggasi Cdu). I polacchi di Pis stanno comodamente dentro Ecr e non si capisce perché dovrebbero uscirne, infatti lo stesso Morawiecki ha subito raffreddato gli entusiasmi dei colleghi.
  • La storica alleata di Salvini, Marine Le Pen, che è data testa a testa nei sondaggi per il ballottaggio con Macron, ha da tempo imboccato una svolta centrista, che sta causando tensioni interna al proprio partito. La Le Pen, in questo momento, non ha alcuna convenienza ad aprire un nuovo fronte in Europa.
  • Non ci può essere accordo, nel “costituendo” gruppone di destra sulle politiche internazionali, a partire dalle variegate, e spesso opposte, posizioni sui rapporti con la Russia di Putin.

Salvini, cui non difetta l’intelligenza politica, può facilmente capire questo contesto, come lo ha da tempo compreso Giorgetti e come, sicuramente, ha ben chiaro anche Lorenzo Fontana, troppo esperto di politica europea perché certe sfumature possano sfuggirgli.

Tra l’altro, i sondaggi hanno dato la Lega addirittura in crescita dopo la svolta centrista in Italia e la stanno vedendo oggi in calo, proprio da quando il suo leader ha annunciato la nuova svolta euroscettica in Europa. Salvini dovrebbe domandarsi se i suoi elettori non siano più intelligenti e selettivi di quanto egli stesso creda.

Il gruppone della destra euroscettica ha pochissime probabilità di essere realizzato, almeno nei prossimi anni, credo ne siano consapevoli gli stessi protagonisti di Budapest.

La spedizione ungherese sembra assumere più i connotati di una scampagnata fuori porta per due chiacchiere tra amici al bar, dando una pacca sulla spalla, in segno di solidarietà, all’amico Orbán.

Dal quale Salvini farebbe bene a mantenere, comunque, una prudente distanza, anche per non creare problemi nel rapporto con un convinto europeista come Draghi.

Tenendo conto che i leader antidemocratici non sono graditi agli elettori italiani, nemmeno a quelli leghisti.



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