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Dall’incidente allo schiaffo, il caso Draghi-Erdogan visto da Paolo Alli

La responsabilità della von der Leyen e, con lei, dei vari leader, da Biden alla Merkel, da Macron a Boris Johnson, è di sfruttare l’iniziativa di Mario Draghi che ha aperto un varco con le sue frasi sul “dittatore” Erdogan. E ha dimostrato che – se non sarà al Quirinale – potrebbe essere un ottimo presidente della Commissione europea. Il commento di Paolo Alli

Il colpo è di quelli che lasciano il segno.

Non ricordo che un capo di governo di un Paese occidentale abbia avuto l’ardire di chiamare “dittatore” il Presidente turco.

Lo ha fatto Mario Draghi, con il suo aplomb un po’ britannico, reagendo allo schiaffo inferto a Ursula Von der Leyen (cioè alla detestata Europa) dallo stesso Erdogan.

La reazione turca è stata immediata, nervosa e scomposta. Al di là della inevitabile convocazione dell’Ambasciatore italiano, peraltro ricevuto dal viceministro degli Esteri, neanche dal ministro, Erdogan ha fatto fare al suo ventriloquo, il Ministro degli Esteri Cavusoglu, una affermazione del tipo: “come si permette un qualsiasi primo ministro nominato di metter in discussione la legittimazione democratica di un presidente eletto?“. Affermazione rivelatrice del pensiero totalitario del leader turco, che mette nel mirino, in un solo colpo, tutte le democrazie parlamentari, bollandole, implicitamente, come antidemocratiche.

Certamente Erdogan si è molto arrabbiato perché sa che Draghi ha detto quello che tutti in occidente pensano, e che le parole in questione non possono essere stato un errore di linguaggio, perché chi le ha pronunciate è troppo attento a queste sfumature.

Dunque, credo che l’affondo di Draghi vada collegato al vero, e molto più sonoro, schiaffo che egli aveva dato alla Turchia (e alla Russia) nei giorni precedenti, con il suo viaggio in Libia, missione nella quale egli ha portato tutto il peso del proprio prestigio internazionale. Una visita che indica la strada per una ripresa della centralità italiana – e quindi europea – nel Mediterraneo. Draghi ha dato un forte segnale sia alla pavida Europa, sia ai superficiali Stati Uniti, richiamandoli alla necessità di un riequilibrio di forze nella regione. Un segnale che non poteva non fare innervosire Erdogan che, insieme all’amico-nemico Putin (due tattici di primissimo ordine), ha approfittato del vuoto geopolitico lasciato dall’Occidente per cercare di spartirsi le spoglie (e il petrolio) della Libia e il controllo dell’intera sponda sud del Mare Nostrum.

All’indomani dell’”incidente”, l’UE ha balbettato una dichiarazione insignificante, limitandosi ad un generico richiamo al rispetto dei diritti umani, ma Mario Draghi non ha ritirato, come chiedeva Ankara, le proprie dichiarazioni. Questo la dice lunga sulla determinazione del nostro Primo Ministro. Erdogan non ha, per il momento, buttato ulteriore benzina sul fuoco, ma da lui ci si può aspettare di tutto.

Un quadro, insomma, che ci pone nuovamente davanti alla delicatezza della situazione turca, da molti anni condizionata dagli atteggiamenti ondivaghi del proprio leader, che possono essere riassunti in pochi esempi.

  • Erdogan, mentre trattava l’entrata della Turchia nell’Unione Europea, coltivava il progetto di porsi come leader del mondo islamico, due dimensioni di fatto inconciliabili.
  • Era grande amico di Assad, è diventato il più accanito avversario del dittatore siriano.
  • Oscilla tra la gratitudine a Mosca, i cui servizi furono determinanti nel garantirgli l’incolumità personale in occasione del fallito colpo di stato del luglio 2016, e il duro confronto con la Russia, sia nel Mediterraneo, sia nel recente conflitto del Nagorno Karabakh.
  • Con Israele ha alternato fasi di collaborazione ad atteggiamenti apertamente ostili, culminate nell’incidente navale del 2010.
  • Fino al 2013 ha collaborato strettamente con Fetullah Gulen, salvo poi indicarlo come mandante del golpe del 2016, chiedendone l’estradizione agli USA.
  • Continua a mantenere un piede nella NATO, ma acquista dalla Russia i missili S400 in barba all’interoperabilità con i sistemi dell’Alleanza e, soprattutto, non rispetta i valori fondamentali del trattato di Washington, a partire dal rispetto dei diritti umani.

Insomma, ce n’è abbastanza per dire che il presidente turco non è certo lineare nei propri comportamenti, rappresentando un pericolo, con la propria enorme forza politica, commerciale e militare, per la stabilità di una intera regione che si colloca a ridosso dell’Europa.

Tutto questo non sfugge a Mario Draghi, grande esperto di scenari internazionali, ed egli ha approfittato dell’incidente diplomatico del sofagate (grave peccato di ingenuità delle istituzioni europee) per rafforzare lo schiaffo al regime turco, iniziato con la missione a Tripoli.

Sulla Libia, l’Europa e gli USA – e il Regno Unito, che esattamente dieci anni fa fu al fianco della Francia nello scatenare l’offensiva contro Gheddafi che portò alla situazione attuale – sono ora di fronte ad una porta che è stata riaperta da Mario Draghi. Devono decidere se attraversarla, per riprendere saldamente il controllo di una delle regioni più strategiche per l’intero occidente. La stessa crisi del Canale di Suez lancia un serio monito al mondo: basterebbe un conflitto in quell’area per bloccare una percentuale importante dei traffici commerciali mondiali.

La responsabilità della Von der Leyen e, con lei, dei vari leader, da Biden alla Merkel, da Macron a Boris Johnson, è di sfruttare l’iniziativa di Mario Draghi. Se non lo faranno, dimostreranno miopia e inconsistenza politica. Temo però che l’appannamento della leadership di Angela Merkel, l’incapacità di trovare soluzioni politiche unitarie da parte della UE, i problemi causati dalla Brexit, non consentiranno all’Europa di trasformare in gol l’assist del nostro Presidente del Consiglio.

Vedremo allora se Biden saprà scuotere gli USA dal torpore che, da Obama a Trump, ha accompagnato la loro declinante presenza da questa parte dell’Atlantico, magari facendo leva sul diffuso sentimento anti-turco che si è diffuso a seguito delle accuse di Ankara di connivenza degli USA nel fallito golpe.

Da parte sua, Mario Draghi ha comunque messo a segno un colpo da maestro, ponendosi come difensore non solo dell’Italia, ma anche dell’Europa e degli alleati occidentali. Andando all’attacco in un momento delicatissimo, ha dimostrato coraggio e lungimiranza. Del resto, l’uomo che ha salvato l’Euro e, con esso, l’Europa, può prendersi libertà che pochi altri leder oggi possono permettersi.

Non so se Mario Draghi sarà il prossimo Presidente della Repubblica Italiana, certo sta dimostrando che sarebbe un perfetto Presidente della Commissione Europea.

Nel frattempo, prepariamoci ad una reazione di Putin, che non può non sentirsi messo anch’egli in discussione dall’iniziativa e dalle parole di Draghi che, in fondo, sono rivolte anche a lui. Ma questo è un altro capitolo che affronteremo presto.


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