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Investimenti, non spese. Pagani (Pd) spiega il procurement della Difesa

Di Alberto Pagani

Perché investire nella Difesa? Perché sostenere il procurement militare? Risponde Alberto Pagani, capogruppo per il Pd in Commissione Difesa alla Camera. La pace che l’Europa ha conosciuto dal 1945 ad oggi, caso unico nella sua storia, è merito della Nato e dell’Ue, cioè della capacità di deterrenza e dell’idea di cooperazione politica. Sarebbe stato possibile senza Forze armate all’altezza della sfida?

“Gentile onorevole,

come cittadina italiana, fedele alla Costituzione, sono profondamente indignata per il voto espresso all’unanimità dalle commissioni difesa del senato e della camera che invitano il governo ad aumentare le spese militari, considerando l’industria bellica di grande importanza per la ripresa del paese. I fondi del PNRR vanno spesi per la salute, la scuola, il lavoro eticamente e costituzionalmente sostenibile, la cultura, la tutela del territorio, non per produrre ed esportare strumenti di morte, violando l’articolo 11 della Costituzione.”

Voglio rispondere in maniera aperta e pubblica a tutte le email, identiche a questa, che ricevo nella mia casella istituzionale di posta elettronica:

Gentili Cittadini, sono fedele alla Costituzione e amante della pace quanto voi ma, pur rispettando le vostre opinioni e comprendendo la buone intenzioni che vi animano, non condivido affatto ciò che mi scrivete. Ci sono tre ragioni che vorrei spiegare.

La prima ragione è che la vostra indignazione è prodotta da una notizia non vera, perché la semplificazione che traduce il voto delle Commissioni Difesa in un invito ad aumentare le spese militari, per “per esportare strumenti di morte”, non ha alcun fondamento nella realtà. Le spese militari, cioè le risorse che lo Stato investe nel bilancio della Difesa, servono per il funzionamento delle Forze armate, che sono impegnate nei loro compiti istituzionali, tra cui ci sono anche le missioni di pace all’estero, e le Commissioni Difesa non hanno affatto chiesto di aumentarle.

Per altro, come credo abbiate avuto modo di riscontrare nella vostra esperienza quotidiana, le Forze armate hanno fornito un contributo fondamentale nella drammatica lotta all’epidemia, confermando il fatto che l’efficacia delle loro capacità logistiche ed operative è particolarmente utile proprio nei momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo. Se invece siete convinti che le commissioni parlamentari abbiano inteso distogliere risorse del Pnrr per comprare armi, vi vorrei rassicurare che questo non avverrà, anche per la ragione che la possibilità di farlo non è prevista proprio dalla struttura del Recovery Found, che non offre la possibilità di impiegare queste risorse per comprare sistemi d’arma.

È vero invece che si ragiona sul possibile impiego duale di mezzi che potrebbero essere acquisiti, come potrebbe essere una nave ospedale, di cui la Marina Militare ad oggi non dispone. Non credete anche voi che i soldi spesi per attrezzare od ospedali improvvisati (come quello alla Fiera di Milano), che poi vanno smantellati, sarebbero stati più utilmente investiti in mezzi idonei ad affrontare bisogni emergenziali (come la necessità di aumentare i posti in terapia intensiva per infettivi) ma utilizzabili poi anche per missioni di pace all’estero, come potrebbe essere quella in Libia, dove abbiamo allestito un ospedale da campo a Misurata?

C’è poi una seconda ragione, sulla quale vorrei invitarvi a riflettere. Il procurement militare, quello chiamate “spese militari”, è l’acquisizione degli strumenti di cui le Forze armate necessitano per svolgere il proprio compito, che è la Difesa dell’Italia dalle minacce che gravano sul nostro futuro e che probabilmente state sottovalutando. La storia insegna (a chi la studia) che la sicurezza di uno Stato è data anche dalla capacità di deterrenza che esso è in grado di esprimere, ed è per questo che il nostro Paese aderisce alla Nato, impegnandosi al rispetto dell’art. 5, la Difesa collettiva, nel caso uno degli alleati subisse un attacco militare. Questo impegno comporta anche il fatto che le nostre Forze armate debbano essere nelle condizioni di poterla realizzare, la Difesa collettiva, e quindi che dispongano di armi.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, abbiamo potuto beneficiare di decenni di pace, pur in un mondo in cui le guerre non sono affatto scomparse. Tale condizione di privilegio non ci è stata donata dal Cielo, per compiacere il nostro animo pacifico, né garantita in modo automatico dall’art. 11 della nostra Costituzione, ma è il frutto di una politica Estera e di Difesa lungimirante, in virtù della quale l’Italia ha siglato il Patto atlantico e partecipa ad alleanze internazionali, che ne hanno tutelato sino ad oggi la sicurezza e garantito quella pace che ora diamo tutti, troppo, per scontato.

Si vis pacem, para bellum, dicevano gli antichi romani. E avevano ragione. Sono convinto che la pace che l’Europa ha conosciuto dal 1945 ad oggi, caso unico nella sua storia, sia merito della Nato e dell’Ue, cioè della capacità di deterrenza rappresentata dall’alleanza militare e dell’idea di cooperazione politica che sta alla base dell’Unione europea.

Infine, c’è una terza ragione sulla quale mi permetto di attirare la vostra attenzione, perché credo che sia la fonte principale dell’equivoco che ha scatenato il vostro mail bombing. Le industrie del settore della Difesa (tra l’altro i campioni nazionali, Leonardo e Fincantieri, sono aziende di Stato) accedono, per i loro programmi di ricerca e sviluppo, ai fondi destinati dal ministero dello Sviluppo economico, che gestirà sicuramente anche alcune risorse del Pnrr finalizzate alla ricerca tecnologica o alla digitalizzazione. Si tratta di investimenti importanti per la ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, perché finanziano ricerca di altissimo livello scientifico, che permetterà all’industria italiana di essere competitiva nel futuro, con ricadute positive per tutti i cittadini.

Per comprenderlo, dobbiamo riflettere sulle enormi ricadute che derivano dalla ricerca tecnologica delle aziende della Difesa, e del vantaggio che ne deriva per l’industria civile e per la vita quotidiana. Internet, che utilizziamo per lavorare, per la didattica a distanza dei nostri figli e per il nostro tempo libero, fu inventato per garantire una rete protetta e sicura per vertici politici e militari americani in caso di guerra atomica. Il tessuto impermeabile e traspirante gore-tex, che si usa nell’abbigliamento tecnico e sportivo, deriva dalla ricerca per le tute degli astronauti. Il Gps del nostro navigatore satellitare o il touch screen del nostro smartphone sono applicazioni derivate dalla ricerca militare e finanziante in massima parte da programmi statali. Gli Stati Uniti, che hanno finanziato quella ricerca, vivono ancora di rendita per le invenzioni che ha prodotto e per il vantaggio tecnologico di cui ha beneficiato il loro sistema industriale. Questo ci dovrebbe insegnare che investire nella ricerca militare del massimo livello ci darà ritorni e ricadute nel campo civile di pari livello, ma moltiplicate per mille. Io non credo che siano opportunità da sottovalutare, soprattutto di questi tempi.

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