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Usa e Cina destinate alla guerra? No, ma… Il libro di Dian (UniBo)

Di Matteo Dian

Per gentile concessione dell’editore Il Mulino, pubblichiamo un estratto del volume “La Cina, gli Stati Uniti e il futuro dell’ordine internazionale” di Matteo Dian (Università di Bologna)

Il processo di rinegoziazione dell’ordine fa emergere quanto il ruolo cinese non sia descrivibile attraverso una dicotomia tra potenza revisionista e potenza di status quo. In alcuni settori la Cina è descrivibile come una potenza favorevole allo status quo. Gli esempi più evidenti sono deterrenza nucleare, il regime di non proliferazione o il contributo alle Nazioni Unite. In altri settori, Pechino ha assunto un atteggiamento di resistenza al cambiamento, mirato a frenare un’evoluzione in direzione liberale-solidarista, in particolare opponendosi alla legittimazione di interventi ispirati alla Responsabilità di Proteggere o all’intervento umanitario. Allo stesso tempo, gli aspetti di contestazione dell’ordine sono significativi e diffusi. Gli esempi più significativi sono quelli riguardanti il tentativo di erodere i meccanismi di deterrenza estesa in Asia, attraverso l’uso delle strategie della zona grigia. La stessa applicazione delle pratiche del capitalismo di stato su scala regionale può essere considerata una forma di contestazione dell’ordine, in quanto promuove pratiche che tendono a destabilizzare la libera concorrenza economica. Pechino si è fatta anche promotrice di numerose iniziative mirate ad integrare e riformare, non a sovvertire, l’ordine regionale quali la BRI, la AIIB e la RCEP.

Queste iniziative non sono né descrivibili come mera espressione delle nuove risorse economiche cinesi, né sono assimilabili a strategie revisioniste. Al contrario, rappresentano il tentativo di promuovere un ordine regionale più coerente con gli interessi e i valori cinesi attraverso un processo di addizione e riforma.

La prospettiva teorica adottata in questo lavoro, ispirata alla scuola inglese, porta ad evidenziare un altro aspetto centrale della competizione sino-americana in Asia e a livello globale. La capacità di promuovere soluzioni percepite come legittime nel campo della limitazione dei conflitti, della promozione della stabilità regionale e della governance economica sono centrali per la competizione tra le grandi potenze e le loro proposte di ordine regionale.

Questa considerazione implica altre due conclusioni rilevanti. La prima riguarda il ruolo di alleati e partner. Al contrario di quanto previsto dal realismo strutturale, l’esempio dell’ascesa cinese dimostra quanto non ci sia alcuna tendenza strutturale né al bilanciamento, né a «salire sul carro del vincitore». Al contrario, gli stati della regione, hanno promosso strategie complesse in reazione all’ascesa cinese e alla competizione sino-americana. Queste strategie sono state influenzate sia da preoccupazioni immediate nel settore della sicurezza, sia da considerazioni di tipo economico, normativo e di status, nonché da interpretazioni spesso particolari e distinte della storia nazionale e regionale. Un chiaro esempio è la differenza tra le strategie promosse da Giappone e Corea del Sud. La maggioranza delle analisi ispirate al realismo ha previsto un’alleanza o almeno una crescente cooperazione tra le due in funzione anticinese. Al contrario, un’analisi che consideri la diversa visione dell’ordine regionale e la percezione del ruolo cinese non può che mettere in evidenza le sostanziali differenze di priorità tra Seul e Tokyo. Allo stesso modo l’eredità storica del colonialismo e l’enfasi su autodeterminazione e sovranità sono centrali per comprendere le strategie della maggioranza dei paesi del Sud Est Asiatico nei confrontai della competizione tra Washington e Pechino.

L’enfasi sulla legittimità e sulla capacità di promuovere soluzioni funzionanti ai problemi di conflitto e cooperazione porta anche a sottolineare l’importanza del rapporto tra livello regionale e livello globale. Il progetto regionale cinese tende a promuovere un processo di differenziazione rispetto al resto dell’ordine globale. Al contrario, nella visione americana l’ordine regionale è sempre stato considerato come un elemento costitutivo dell’ordine globale, centrato sulla leadership degli Stati Uniti ed un’evoluzione più o meno rapida e coerente verso istituzioni primarie di tipo liberale-solidarista. Questa dialettica tra dimensione regionale e globale dell’ordine è centrale per comprendere le ripercussioni dell’ascesa cinese.

Questa analisi induce a trarre anche una serie di implicazioni relative agli aspetti pratici del rapporto tra Cina e Stati Uniti. L’analisi svolta in questo libro si discosta dall’inevitabilità della «Trappola di Tucidide», così come dall’ottimismo delle previsioni liberali. Più probabilmente il prossimo decennio sarà caratterizzato da una competizione multidimensionale che riguarderà le dimensioni militare, ideologica ed economica. Questa competizione, tuttavia, non implica una riedizione di un confronto bipolare simile a quello della Guerra Fredda. Al contrario, gli aspetti competitivi probabilmente conviveranno con livelli di integrazione economica e intensi rapporti diplomatici. La competizione sino-americana probabilmente frenerà l’evoluzione in senso solidarista-liberale e tenderà a fare emergere alcune delle caratteristiche pluraliste dell’ordine internazionale.



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