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La speranza Biden nella giornata della Terra malata. Scrive Clini

Il presidente statunitense apre oggi un summit globale sul cambiamento climatico con la partecipazione di tutti i più grandi Paesi del pianeta. Il commento di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Lo “State of the Global Climate 2020”, appena pubblicato dall’Organizzazione meteorologica mondiale, elenca in modo puntuale le “anomalie” climatiche che nel 2020 hanno interessato tutti continenti, l’Artico e l’Antartide, e lancia l’allarme sulla temperatura media del pianeta che continua a crescere e si avvicina pericolosamente alla soglia di sicurezza individuata dall’accordo di Parigi. L’Agenzia statunitense per gli oceani e l’atmosfera (Noaa) ha appena reso noto che la concentrazione in atmosfera di CO2 continua a crescere. Il rapporto “Global Energy Review 2021” dell’Agenzia internazionale dell’energia prevede un aumento nel 2021 delle emissioni globali di CO2 per 1,5 miliardi di tonnellate.

Con queste premesse, e con la pressione dell’urgenza, la giornata della Terra del 2021 alza il sipario su uno scenario che non era immaginabile alla fine del 2020.

Il presidente statunitense Joe Biden apre un summit globale sul cambiamento climatico con la partecipazione di tutti i più grandi Paesi del pianeta, a cominciare da Cina, India, Brasile, Giappone, Arabia Saudita, Sud Africa e dalle più importanti nazioni dell’Unione europea.

Il summit segue di pochi giorni il documento condiviso a Shanghai da Cina e Stati Unit che chiude la stagione dei conflitti “a tutto campo” e apre la strada a un dialogo che potrebbe generare effetti significativi nella cooperazione scientifica e tecnologica tra le due più grandi economie del pianeta in controtendenza rispetto al decoupling e al conflitto.

Il presidente Biden si presenta al summit con l’impegno senza precedenti degli Stati Uniti di ridurre entro il 2030 le proprie emissioni del 50% rispetto ai livelli del 2005.

L’impegno statunitense segue quelli già assunti con obiettivo 2030 dall’Unione europea per la riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990, dalla Cina per la riduzione del 65% dell’intensità di carbonio rispetto ai livelli del 2005 (emissioni per unità di prodotto interno lordo), e da Canada, Corea del Sud, Giappone e Regno Unito.

Si può osservare che gli obiettivi di riduzione assumono anni di riferimento e metodologie di calcolo tra loro differenti, ma sono chiare almeno due novità rilevanti rispetto agli estenuanti negoziati sul clima degli ultimi 25 anni.

Gli impegni di riduzione delle emissioni sono:

  • unilaterali e non condizionati da vincoli di reciprocità – questo proposito va riconosciuto alla Cina di avere cambiato gli schemi con l’impegno unilaterale assunto da Xi Jinping all’Assemblea generale delle Nazioni Unite senza chiedere analogo impegno agli Stati Uniti di Donald Trump;
  • guidati dall’obiettivo convergente di avviare la decarbonizzazione delle economie tra il 2021 e il 2030 – questo è il terreno comune per individuare le modalità della transizione energetica ed ecologica, del cambio senza ritorno verso un’economia globale a emissioni zero.

La transizione non sarà una passeggiata, perché in dieci anni dovremo modificare contestualmente la matrice energetica delle economie e passare dall’economia lineare all’economia circolare, ovvero orientare le politiche nazionali e gli accordi internazionali sia verso le fonti energetiche a emissioni zero sia verso processi industriali e prodotti basati sul recupero e riuso delle risorse naturali.

Un banco di prova è il confronto in corso in ambito europeo sulla “tassonomia” delle attività economiche sostenibili, ovvero delle fonti, delle tecnologie e dei processi industriali che i paesi e le istituzioni finanziarie possono promuovere e sostenere nella transizione energetica ed ecologica.

La scelta europea avrà un impatto sull’economia mondiale e non a caso la Banca centrale della Cina ha avviato una collaborazione con la Commissione europea per coordinare la “tassonomia” degli investimenti sostenibili da applicare nei due mercati.

Nella stessa direzione si è orientata la recente riunione del U.S.-EU Joint Financial Regulatory Forum, che ha avviato un confronto sulle priorità della finanza sostenibile e degli strumenti per la sua promozione, primo tra i quali la tassonomia.

Mentre la Banca europea degli investimenti, la Banca mondiale, il fondo BlackRock, e la stessa Asian infrastructure investment bank, per citare le più rilevanti istituzioni finanziarie, hanno avviato la progressiva selezione degli investimenti a favore di programmi e progetti sostenibili.

È auspicabile che il G20 a presidenza italiana, come suggerito dal governatore della Banca centrale della Cina Yi Gang, possa avviare una collaborazione tra le grandi economie per condividere un approccio comune alla green taxonomy e alla finanza sostenibile.

Abbiamo 10 anni, e passano in fretta.

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