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Il G20 a guida italiana si confronti su un welfare globale (a partire dalla salute)

Secondo Mario Baldassarri, economista ed ex viceministro dell’Economia, è urgente una nuova governance nel mondo e in Europa sui temi decisivi da porre in agenda al prossimo G20 presieduto dall’Italia e in altri Summit mondiali, come quello che si terrà il 21 Maggio a Roma sull’emergenza sanitaria. Occasione per cominciare a formulare, all’interno del G20, un “comitato esecutivo”, un nuovo G8 che rappresenti e rispecchi la nuova mappa economica del mondo del XXI secolo

All’inizio degli anni Duemila, proiezioni ragionevoli a medio-lungo termine avrebbero consentito di prevedere quello che stava succedendo e quello che sarebbe successo. Già allora infatti avremmo dovuto capire tre cose: che il mondo era cambiato, che l’Europa doveva cambiare e che l’Italia doveva decidere.

Paradossalmente, ma forse non del tutto, il Covid ci ha fatto “vedere e toccare con mano” quelle tre cose e ci ha aperto gli occhi su:

1. La mappa economica e di potere del mondo del XXI secolo è del tutto nuova rispetto a quella che aveva dominato la scena nella seconda metà del XX secolo scorso;
2. L’Europa si è accorta che o è vera Unione federale e solidale oppure non è;
3. L’Italia ha ora la grande opportunità dei fondi europei per la ripresa ma forse ancora non è del tutto consapevole che questi sono legati alle riforme strutturali che per venti anni tutti i governi non sono stati in grado di realizzare.

Da oltre venti anni viviamo in un “mondo globalizzato” a fronte del quale non c’è un governo “globale”.
La pandemia in corso ne è la dimostrazione più clamorosa e drammatica.

Dopo il grande successo della ricerca che è riuscita ad ottenere diversi vaccini in un solo anno sono emersi seri problemi: le strozzature nella produzione, le difficoltà nella distribuzione, le disparità economiche, gli interessi espliciti o taciti del nuovo quadro geo-politico e geo-economico.

Abbiamo toccato con mano il potere di mercato della concentrazione oligopolistica delle Big Pharma, legittimamente protette dai brevetti, al quale però non si è ancora contrapposto il potere monopsonistico dei sistemi sanitari nazionali europei che sono i più grandi compratori di farmaci del mondo, non solo di vaccini. Paventare la possibilità di un acquisto massiccio di farmaci generici invece di quelli “di marca” potrebbe evidentemente portare a più miti e ragionevoli consigli i vari produttori.

È evidente però che qui ci sono due diversi ordini di problemi: l’emergenza di fare al più presto i vaccini nel corso di questo anno e la predisposizione di una capacità produttiva a medio lungo termine che garantisca i vaccini nei prossimi dieci anni in tutti i continenti del mondo. Infatti, ammesso che si raggiunga l’immunità di gregge nei Paesi più grandi e più potenti, si rischia di avere quattro miliardi di persone senza vaccino. Pertanto, cacciato dalla porta nel corso del 2021, il virus rischia di rientrare dalla finestra nei prossimi anni.

Questo richiede un “governo” del mondo che scelga politicamente su come dare copertura a tutti i continenti e a tutti i Paesi. Si tratta cioè di costruire l’embrione di un welfare globale a partire dalla salute.

Il “vecchio” governo del mondo (G7, Fmi, Banca Mondiale, Wto) non è più in grado di affrontare questo nuovo mondo. Sono urgenti e necessarie “nuove” istituzioni internazionali che coinvolgano tutte le aree e tutti i continenti. Occorre cioè un nuovo G8 e riforme profonde delle istituzioni internazionali che possano governare l’espansione in equilibrio dell’economia mondiale anche sul piano socio-economico.

Oggi abbiamo un timido G20 che spesso assume toni e contenuti da riunione condominiale.

Quest’anno l’Italia presiede il G20 e proprio il prossimo 21 Maggio si terrà a Roma il vertice mondiale sull’emergenza sanitaria.

Ecco allora l’occasione per cominciare a formulare, all’interno del G20, un “comitato esecutivo”, un nuovo G8 che rappresenti e rispecchi la nuova mappa economica del mondo del XXI secolo: sette sono i membri di fatto e cioè Cina, Usa, India, Giappone, Russia, America Latina, Africa. E l’Europa… ha solo un posto comune, se si divide a quel tavolo… non c’è.

Per di più ad inizio maggio si terrà in Portogallo l’EUSocialSummit che può diventare un’altra importante opportunità per dare una voce univoca all’Europa e proporla poche settimane dopo al G20.

In questo contesto è necessaria e urgente un’entità “politica” europea in grado di partecipare alla costruzione di un nuovo governo mondiale con le altre grandi aree del pianeta. Ecco allora il presente ed il futuro dell’Unione Europea.
Di fronte alla pandemia l’Unione ha saputo fare il necessario “salto di qualità”. Ha sospeso il Patto di stabilità e di sviluppo ed i parametri di Maastricht. Alla politica monetaria della Bce, ha affiancato il Ngeu come embrione di una nuova politica di bilancio europea con l’inizio di un debito pubblico comune.

Il Ngeu, con i suoi 750 miliardi di prestiti e trasferimenti, è per ora uno strumento una tantum, seppure spalmato nei prossimi sei anni, con una disponibilità di risorse di circa 125 miliardi all’anno.

È pertanto evidente che può dare un importante impulso alla ripresa europea dando forza alle politiche economiche dei singoli Paesi. Tale impulso però, se restasse una tantum, esaurirebbe il suo effetto nei pochi anni previsti per la sua attuazione. E dopo?

È urgente pensare subito a due cose: come rendere permanente il Ngeu e come ridefinire parametri (meno stupidi e più intelligenti disse una volta Romano Prodi) per sottoscrivere un nuovo Patto di stabilità e crescita.

Sin da subito infatti occorre essere consapevoli che il Ngeu dovrà “proseguire”, dovrà cioè essere il primo passo verso la costituzione di un vero bilancio europeo federale.

L’attuale bilancio ordinario europeo 2021-2027 è pari a circa 150 miliardi di euro all’anno (l’1% del Pil dell’intera Unione), è totalmente finanziato da trasferimenti da parte dei singoli stati nazionali ed è in pareggio non prevedendo l’accensione di nessun debito comune.

Il “compito” dell’Unione europea è ora quello di “raddoppiare” il bilancio ordinario, aggiungendo a quello esistente, un vero bilancio federale di altri 150 miliardi di euro (dei quali circa 20/25 da dedicare al rimborso del debito comune relativo ai sussidi decisi con il Ngeu) all’anno coperto in parte con entrate proprie dell’Unione e in parte accendendo un debito comune federale. Si tratta cioè di avere un Ngeu “permanente” e non “una tantum”.

La Ue avrebbe così un bilancio pari al 2% del proprio Pil, ancora ben lontano dal 25% del bilancio federale degli Stati Uniti d’America, ma sarebbe la pietra d’angolo di quello che dovranno essere gli Stati Uniti d’Europa nel XXI secolo.
Sul nuovo Patto di stabilità e crescita vanno escluse dal parametro del deficit le spese per investimenti e va introdotto nei bilanci pubblici nazionali l’obiettivo di “avanzo di parte corrente” (che si chiama risparmio pubblico) e per ogni 1% di avanzo corrente (autofinanziamento) si può permettere almeno il 2% di investimenti pubblici in più, in parte finanziati in deficit.

Si tratta cioè di introdurre una Platinum Rule (Mario Baldassarri, Spesa pubblica, Inflazione e Crescita, Il Mulino 1979) ancor più efficace e rigorosa rispetto alla Golden Rule proposta sessant’anni fa da Robert Solow, che semplicemente proponeva di lasciare gli investimenti pubblici fuori dal conto del deficit. La Platinum Rule, infatti, non sarebbe altro che il semplice inserimento di una solida leva finanziaria nelle decisioni di politica economica.

Sarebbe come per le famiglie quando decidono di comprare una casa pagando un anticipo del 30% del costo ed accendendo un mutuo per il restante 70%. Oppure come quando le aziende usano i loro profitti per finanziare il 30-40% dei loro investimenti e coprono il restante 70-60% accedendo a prestiti sul mercato.

Senza questo l’Europa rischia di essere una entità in dissolvenza nella realtà globale nella quale irrompono con forza interi nuovi continenti e 5 o 6 miliardi di persone in Asia, in Africa, in America Latina.

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