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Il carisma perduto di Grillo (e il tempo di Conte). Scrive Paolo Ceri

Di Paolo Ceri

L’effetto combinato della crisi dell’autorità di padre e dell’autorità di giudice incrina seriamente la legittimità della posizione di Garante riservata a Grillo. Analogamente, la doppia crisi di autorità del capo e del signore pone il Movimento in una situazione problematica per gli effetti sull’annunciato passaggio del testimone, cioè del comando, da Beppe Grillo a Giuseppe Conte. L’analisi di Paolo Ceri, ordinario di Sociologia all’Università di Firenze

La vicenda del video di Beppe Grillo in difesa del figlio accusato di stupro ha dirette, pesanti, conseguenze sulla natura del rapporto che legava finora il MoVimento al suo fondatore. Esse sono sintetizzabili con una locuzione classica: crisi d’autorità. Esercitata per un quindicennio, pur con qualche alternanza, l’autorità di Grillo era ancora effettiva nelle quattro dimensioni originarie, quelle cioè di Padre, di Signore, di Capo e di Giudice.

Al riguardo la pubblicazione del video segna un discrimine temporale, tra un prima e un dopo, tale è a lacerazione indotta nel rapporto. Lo sarà presto evidente, in ragione soprattutto del sovvertimento delle due dimensioni più esclusive: quella di Grillo Padre e quella di Grillo Giudice. Per quanto radicata nella storia del movimento, figura di Grillo Padre (padre generatore e protettore del Movimento) si corrompe e si sfoca nel momento in cui la figura del padre è sostituita da quella del genitore: nel momento in cui la dimensione collettiva è ridotta alla dimensione personale, privata. Un esito analogo subisce la figura di Grillo Giudice (giudice e garante dello spirito del Movimento), per il fatto d’essere contraddetta e come sfatata nel momento in cui al giudice si sostituisce l’appellante, l’invocante.

Nonostante questi esiti, si potrebbe pensare che le conseguenze virali del video non compromettano le altre due dimensioni, le più politiche, dell’autorità di Grillo: quella di signore e quella di capo. Ma non è così.

Indipendente com’è da investiture o titoli formali, l’autorità di Grillo capo, ancor piena fino al lancio del video, viene ridotta da questo, quale prova evidente tanto della mancanza dell’autocontrollo che si richiede a un capo, quanto della insensibilità umana e culturale, mostrata minimizzando la gravità dell’accaduto e suscitando sospetto sulla malcapitata e, indirettamente, delle donne violentate in genere. È un comportamento che lo rivela tutto meno che in sintonia coi tempi: una carenza davvero critica per un movimento che si vuole partecipativo e innovatore. Parimenti ne risente, per così dire, di rimbalzo l’autorità di Grillo signore (propria del rapporto servo/padrone di hegeliana memoria) che, buona a intimidire i non allineati e i dissenzienti, già da tempo ha diminuito la presa, data la disgregazione in corso nelle file del Movimento 5 Stelle.

L’effetto combinato della crisi dell’autorità di padre e dell’autorità di giudice incrina seriamente la legittimità della posizione di Garante riservata a Grillo. Analogamente, la doppia crisi di autorità del capo e del signore pone il Movimento in una situazione più problematica di quanto già fosse, per gli effetti sull’annunciato passaggio del testimone, cioè del comando, da Beppe Grillo (e i cosiddetti vertici) a Giuseppe Conte. Benché questi disponga in proprio di un’apprezzabile quota fiducia presso parlamentari e attivisti, si tratta pur sempre di un’investitura dall’alto. Ora, affinché questa possa compiersi con la necessaria legittimità, non può mancare, tra le altre condizioni, la piena autorità del suo artefice. Per le ragioni dette non è più il caso di Beppe Grillo.

Quanto a Conte, egli viene a trovarsi in una situazione paradossale: per un verso, diminuito in partenza come leader dall’autorità di recente esercitata da Grillo nel dettare la direzione strategica (centro-sinistra e transizione ecologica) e, per l’altro verso, favorito dopo il video più di prima nell’opportunità di proporsi e venire accolto come il salvatore, se non del MoVimento, del partito. Quale che sia l’esito, certa è – si passi il bisticcio – l’improbabile tenuta dell’autorità carismatica di Grillo. Se ne avrà un segno quando la cronica ambiguità di ruolo e di comportamento perfettamente espressa con l’etichetta di “elevato” imbarazzerà a usarla, fino a rinunciarvi.

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