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Il mio addio a Covatta, socialista, cristiano, uomo di fine cultura

Ciao, Gigi, spero che stasera in paradiso tu possa trovare altri amici oltre quelli che io ho conosciuto per le tue raffinate conversazioni. Ma ti prego, almeno loro, non impestarli col fumo continuo delle tue Camel senza filtro! Il ricordo di Corrado Ocone

Anche se qualche volta apostrofava me scherzosamente come il “perfido Ocone”, c’è tutta la perfidia del destino nella data che Luigi Covatta, storico parlamentare socialista (per le quattro legislature che vanno dal 1979 al 1994) , si è scelto per lasciarci: il 18 aprile. Non gli sarebbe dispiaciuto, forse, pur dirigendo Mondoperaio, la storica rivista di cultura politica fondata da Pietro Nenni, che proprio il 18 aprile del 1948 fu mandato all’opposizione, insieme ai comunisti (con i quali costituiva il Fronte Popolare), dalla Democrazia Cristiana.

E non solo perché le origini politiche di Gigi, come tutti lo chiamavamo, erano in quel Movimento politico dei lavoratori il cui leader era il già democristiano Livio Labor, ex presidente delle Acli, che durò il tempo di nascere nel 1971 e presentarsi alle elezioni dell’anno successivo senza ottenere un seggio. Ma perché egli era un coerente riformista, un uomo di un’apertura mentale e politica che lo teneva istintivamente lontano da ogni forma di radicalismo o massimalismo e lo faceva dialogare con tutti.

Dopo la sconfitta elettorale, la più parte del Movimento, compreso Labor e Gennaro Acquaviva, l’amico fraterno di Covatta, passò nel Partito Socialista, trovando poi, loro cattolici, nel laico Bettino Craxi il referente e mentore (Acquaviva diventò il capo della segreteria del grande statista socialista, contribuendo non poco fra l’altro alla stesura della revisione dei Patti Lateranensi che misero capo nel 1984 all’accordo di Villa Madama fra Italia e Santa Sede). Con Craxi al timone del Psi, Covatta era stato sottosegretario in più governi due volte alla pubblica istruzione e altre due volte ai beni culturali.

Agli inizio degli anni Novanta era stato ancora vice presidente della Commissione De Mita per le riforme istituzionali e presidente della Commissione Lavoro del Senato. Se Craxi era dopo tutto anti marxista nella linea del socialismo umanitario e mutualistico milanese ottocentesco, Covatta e i suoi amici lo erano in quella del socialismo cristiano e umanitario dello stesso secolo. Non si capirebbe il convinto, e anzi coraggiosamente sbandierato, anti-azionismo, e quindi anche anti-giustizialismo, di questo gruppo senza questo elemento. E così anche il trovarsi a pieno agio di Gigi con tanti liberali non propriamente di sinistra come Dino Cofrancesco, Giorgio Rebuffa e, nel suo piccolissimo, il sottoscritto (sono stato nella redazione della sua rivista dal 2011 al 2019).

Covatta era però soprattutto un uomo di cultura, quella vera e solida, non velleitaria e aleatoria, anche se lui amava definirsi con una punta di civetteria un semplice “giornalista pubblicista (aveva scritto per molto tempo su Repubblica e ora lo faceva su Il Mattino di Napoli). E di conseguenza un politico di finezza intellettuale e non da contrapposizione ideologica, poco adatto ai nostri tempi post-democristiani.

Era quindi doppiamente controcorrente, e detestava il “politicamente corretto” con tutto sé stesso. Era profondamente “inattuale”. E questa “inattualità” la mostrava tutta in Mondoperaio la cui direzione ha tenuto dal 2009 ad oggi, garantendone la puntuale uscita ogni mese: nella copertina, nella grafica, nel tono e nello stile, nella scelta dei contenuti, Covatta quasi si compiaceva di non strizzare minimamente l’occhio alo “spirito dei tempi”, e cioè di fare un prodotto che (come ebbe a dire un amico) è per il lettore un vero e proprio “pugno nello stomaco”.

La gravitas e serietà dell’uomo si univa al conversare amabile e dotto, al sarcasmo bonario e all’ironia tutta partenopea (era nato a Forio d’Ischia il 15 maggio 1943). Invitatomi al suo matrimonio una decina di anni fa (si era risposato con l’amabile moglie Nicla che aveva fatto della loro casa un ritrovo politico-intellettuale), feci pervenire il regalo di nozze alla sede dei socialisti di Riccardo Nencini non avendolo il corriere trovato a casa.

Quando glielo comunicai, Gigi, che avevo conosciuto da poco (fu l’amico Luigi Compgna che mi suggerì il suo nome per la presentazione d un mio libro al Senato), commentò, lui che il peso dell’attacco giustizialista ai socialisti lo portava ancora tutto addosso, perentorio: “Hai sbagliato”.

“Perché?”, gli chiesi sentendomi in colpa non capendo subito che stesse scherzando. E lui, con una frase che era ironica ma anche un monito contro i luoghi comuni: “perché i socialisti rubano”. Ciao, Gigi, spero che stasera in paradiso tu possa trovare altri amici oltre quelli che io ho conosciuto per le tue raffinate conversazioni. Ma ti prego, almeno loro, non impestarli col fumo continuo delle tue Camel senza filtro!

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