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Nucleare iraniano in fiamme. E se non fosse un attacco cyber di Israele?

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Teheran annuncia di aver identificato il sabotatore dell’impianto di Natanz. L’avvocato Mele: “Non mi sorprenderebbe se la strategia fosse quella di dirottare l’attenzione iraniana su un attacco cyber (israeliano) per distoglierla dagli operativi che sul campo hanno condotto questo attacco”. E se ci fosse lo zampino dei Pasdaran?

Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif sembra avere pochi dubbi: dietro al blackout che ha colpito l’impianto di Natanz, fulcro del programma nucleare della Repubblica islamica, c’è lo zampino di Israele. L’incidente, che ha colpito le centrifughe come confermato da Teheran, potrebbe aver fatto perdere nove mesi di progressi al programma nucleare iraniano

“I sionisti vogliono vendicarsi a causa dei nostri progressi sulla strada per revocare le sanzioni. Hanno detto pubblicamente che non lo permetteranno. Ma avremo la nostra vendetta”, ha detto Zarif alimentando così le voci che da Teheran parlano di sabotaggio e terrorismo nucleare da parte dello Stato ebraico (che non conferma né smentisce).

Ma i media iraniani non danno molto spazio all’accaduto. La notizia non è apertura di Tasnim, Fars o altri canali iraniani. Ciò, evidenzia il Jerusalem Post, potrebbe essere dovuto al fatto che la Repubblica islamica vuole inviare un messaggio alla comunità internazionale, lamentandosi del sabotaggio e di Israele; e un altro – patriottico – ai suoi cittadini. Basti pensare che soltanto sabato, proprio nella centrale nucleare di Natanz, il presidente iraniano Hassan Rouhani aveva presenziato all’inaugurazione di 164 nuove centrifughe che avrebbero permesso di arricchire con maggiore velocità l’uranio (il cui uso è vietato dall’accordo internazionale del 2015).

L’attacco cibernetico non è però l’unica pista. “È molto complicato, al momento, riuscire a capire come l’operazione sia stata condotta e se effettivamente un attacco cibernetico lo abbia facilitato, magari causando proprio il blackout che ha supportato l’incursione”, spiega Stefano Mele, presidente della Commissione cibernetica del Comitato atlantico italiano, a Formiche.net. “Tuttavia, se nel tempo ciò dovesse essere confermato, non sarebbe senz’altro una sorpresa. Israele, infatti, può contare su capacità cibernetiche difensive e offensive di altissimo livello. Anche solo il richiamo – tra le varie – all’Operazione Olimpic Games, che nel 2010 ha fatto conoscere al mondo intero il malware Stuxnet e soprattutto la possibilità di causare danni fisici attraverso attacchi cibernetici può essere un ottimo esempio di queste capacità operative”.

Tuttavia, continua l’avvocato Mele, “allo stato attuale delle informazioni, non mi sorprenderebbe neanche se la strategia fosse quella di dirottare prudenzialmente l’attenzione iraniana e dell’intera opinione pubblica su un attacco cyber per distoglierla dagli operativi che sul campo hanno condotto questo attacco e hanno adesso necessità di protezione”.

Non si può escludere che l’incendio, di cui si hanno avuto notizie mentre il capo del Pentagono Llyod Austin atterrava in Israele, sia di natura interna.

L’Iran dice di aver identificato un singolo sabotatore (non è chiaro se si un individuo o un’entità) e questo potrebbe essere una forma di propaganda difensiva per dimostrare capacità reattive e spingere una contro-narrativa rispetto a dubbi sulla vulnerabilità del programma. Ma potrebbe esserci di più: seguendo il ragionamento di Mele e calandolo nel complicato contesto iraniano, è possibile allungare il ragionamento su un inside-job?

Nel campo della speculazione: possibile un sabotaggio interno per bloccare il riavvio di negoziati indiretti tra Iran e Stati Uniti nel campo dell’accordo sul nucleare Jcpoa – che dopo l’incontro di venerdì scorso saranno raggiornasti a mercoledì 14 aprile? La partita in Iran è complessa, perché il paese si avvia verso le presidenziali di giugno, dove l’attuale presidenza Rouhani avrà difficoltà a difendere la propria successione pragmatico riformista contro i conservatori e la linea ultraconservatrice in parte incarnata dai Pasdaran.

Ecco allora che il sabotaggio potrebbe essere addirittura uno scenario quasi credibile, opera di chi intende interrompere gli sforzi in corso non tanto per tornare indietro, non tanto per una rottura completa dei dialoghi e dell’accordo, ma per potersi intestare i successi. È infatti abbastanza pacifico che il fronte di chi si approccia alla questione nucleare con pragmatismo, valutando la necessità di accettare limitazioni (seppure da incastrare nella narrazione nazionalista iraniana) per vedersi sollevate le sanzioni che strozzano l’economia, a a Teheran è piuttosto largo.



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