Sullivan, consigliere di Biden, si congratula con la Commissione europea per la proposta di regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Non è l’unico a Washington. Ecco i tre motivi dell’entusiasmo Usa
È arrivata dalla Commissione europea la prima proposta al mondo per regolamentare l’intelligenza artificiale. Con quattro obiettivi: costruire fiducia tra i cittadini, spingere l’innovazione, punire gli abusi e, di conseguenza, imporre uno standard per il settore al resto del mondo.
A poche ore dalla presentazione è arrivato il primo importante endorsement, quello di Jake Sullivan. Il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente statunitense Joe Biden ha twittato: “Gli Stati Uniti accolgono con favore le nuove iniziative dell’Unione europea sull’intelligenza artificiale. Lavoreremo con i nostri amici e alleati per promuovere un’intelligenza artificiale affidabile che rifletta i nostri valori condivisi e l’impegno a proteggere i diritti e la dignità di tutti i nostri cittadini”.
Né Sullivan né la Commissione europea dichiarano esplicitamente l’obiettivo, che è evitare una deriva cinese dell’intelligenza artificiale. Non soltanto perché “non c’è spazio per la sorveglianza di massa nella nostra società”, come ha dichiarato la vicepresidente della Commissione, Margrethe Vestager. Ma anche per non lasciare che il Partito comunista cinese detti i suoi standard antioccidentali al resto del mondo.
La reazione di Sullivan è stata ripresa da politici ed esperti statunitensi. Per il senatore Mark Warner, democratico che presiede la commissione Intelligence, è “molto rassicurante” che il presidente Joe Biden abbia “abbandonato l’approccio laissez-faire all’intelligenza artificiale della precedente amministrazione” di Donald Trump. E ancora: “Sono entusiasta di lavorare con l’amministrazione sulla creazione di politiche di intelligenza artificiale che sanciscono – ed elevano – i valori democratici, in collaborazione con i nostri alleati democratici”, ha twittato richiamando una sua recente proposta di legge per la creazione di un ufficio al dipartimento di Stato che si occupi di costruire partnership con i Paesi cosiddetti like-minded per fronteggiare l’ascesa cinese in campo tecnologico.
Karen Kornbluh, già ambasciatrice statunitense all’Osce sotto Barack Obama oggi a capo della Digital Innovation and Democracy Initiative del German Marshall Fund, ha sottolineato “il dialogo transatlantico sulla tecnologia”. Dallo stesso think tank, Lindsay Gorman, Emerging Technologies Fellow, ha parlato di un “ottimo passaggio e messaggio sull’importanza della cooperazione democratica sull’intelligenza artificiale”. “Fantastico”, “abbiamo bisogno della collaborazione tra i Paesi democratici”, ha twittato Marietje Schaake, ex parlamentare europea oggi international policy director al Cyber Policy Center dell’Università di Stanford.
L’entusiasmo statunitense sembra avere tre ragioni di fondamento. La prima: l’occasione di rilanciare il dialogo con i partner europei dopo i quattro anni complicati di Trump e far fronte comune contro i regimi, tra cui Cina e Russia. La seconda: la possibilità di farlo partendo da un documento, quello proposto dalla Commissione europea, che appare ancora piuttosto lasco, come ha evidenziato Alexandra Geese, l’europarlamentare dei Verdi, che ha esposte le sue perplessità in un lungo thread su Twitter. La terza: “è una mossa importante e metterà sotto pressione gli Stati Uniti affinché rafforzino le normative sull’intelligenza artificiale”, come ha spiegato Darrell West, senior fellow della Brookings Institution, ad Axios.com.
Non è un caso, quindi, che la stessa testata registri l’entusiasmo di Rebecca Kelly, presidente della Federal Trade Commission, che lunedì aveva pubblicato un rapporto per ribadire l’importanza dell’agenzia nell’applicazione delle leggi sull’intelligenza artificiale: “Sono felice che la Commissione europea condivida le preoccupazioni della Ftc sui rischi”, ha detto sottolineando anche l’importanza di “imparare gli uni dagli altri”. L’impostazione europea, auspicano diversi a Washington tra cui la Ftc e pezzi dell’amministrazione Biden, potrebbe fare scuola. Ma non si può non notare che si tratta soltanto di una proposta che gli Stati Uniti sono tipicamente più soft dell’Unione europea sulla regolamentazione per i giganti del Web.