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Italia-Francia, democrazie fra populismo e tecnocrazia. L’analisi di Gentile

Di Sara Gentile

In Italia e in Francia si sperimentano formule inedite di gestione del potere, di coalizioni di governo, di alleanze. In passato i populismi si sono nutriti della critica feroce contro il potere tecnocratico, la finanza internazionale, il dominio delle burocrazie europee, ma ora hanno mutato registro, scrive Sara Gentile, professoressa di Scienza Politica e di Analisi del Linguaggio Politico, Sciences Po Cevipof Parigi e Università di Catania

La democrazia è in affanno, stretta fra la morsa del Covid e una fase di crisi, per alcuni, o di transizione, per altri, che ne minaccia la forma storica alla quale eravamo abituati.

In molti Paesi europei, e non solo, dalla metà del ’900, i movimenti/partiti populisti hanno cominciato a diffondersi criticando le inadeguatezze della politica tradizionale, la sua distanza dai governati, la sua frequente corruzione, dando voce così al disagio di larghi strati sociali ed evocando la mitica purezza del “popolo” dimenticato. Il populismo nel tempo ha spesso cambiato sembianze mantenendo però il suo tratto principale: appello al popolo depositario di tutte le virtù, difesa dell’identità come escludente tutto il diverso, attacco ai partiti tradizionali e a tutte le élite; quindi identitario e protestatario insieme, due armi queste che ne hanno segnato il successo portandolo in Parlamento e al governo in molti Paesi europei.

L’Italia e la Francia sono per questo due casi paradigmatici, laboratori nei quali, pur nelle differenze dei contesti, si sono realizzate e si sperimentano oggi formule inedite di gestione del potere, di coalizioni di governo, di alleanze.
In Italia, dalla Lega, destra estrema, a Forza Italia, destra moderata, al Movimento 5 Stelle, espressione di un populismo radicale, vi è un ricco ventaglio di formazioni populiste che sono state al governo ed oggi lo sono nel governo presieduto da Mario Draghi. Questo configura un rapporto nuovo, appunto, fra populismo e tecnocrazia.

Infatti in passato i populismi si sono nutriti della critica feroce contro il potere tecnocratico, la finanza internazionale, il dominio delle burocrazie europee, in Francia, in Italia, in Spagna, nelle democrazie nordiche. Ora hanno mutato registro.

In Francia Marine Le Pen, leader del Rn, partito di estrema destra, ha smesso di predicare contro la mondialisation e lo strapotere delle lobbies internazionali, ha posto le basi per un partito competitivo non diabolisé (se pure con qualche scivolone come l’appoggio, sanzionato dal governo in questi giorni, a un proclama di militari che si mette a disposizione del Paese “per salvarne la civiltà”) si candida alle prossime presidenziali e vola nei sondaggi, penetrando in strati sociali più ampi.

Emmanuel Macron da parte sua, esponente della élite bancario-finanziaria, arrivato al potere nel 2017 con un discorso duro sulla classe politica tradizionale, sui vecchi partiti definiti “étoiles mortes”,dopo un mandato burrascoso e molto dissenso interno, prepara la sua ricandidatura alle prossime presidenziali, su tre registri: le riforme ad ogni costo, in particolare quella dell’Ena (Ecole Nationale d’Administration) fiore all’occhiello della Francia ma criticata per essere troppo elitaria e fucina dei boiardi di Stato, con un progetto di snellimento che ne attenui il carattere di casta; l’inflessibilità contro il terrorismo islamico ora in ripresa; il richiamo al popolo francese perché mostri virtù e coraggio in questa crisi pandemica, cercando di sottrarlo al richiamo populista ma usando egli pure, spesso, un repertorio comunicativo di stile populista, la retorica di una comunità di popolo, stretta attorno al suo leader. Insomma tecnocrazia e populismo sembrano alla ricerca di una singolare contaminazione, in questo caso nella stessa persona del presidente.

In Italia vi è oggi un’alleanza di governo che non pare solo congiunturale ma indica invece una tendenza destinata a durare. Infatti Mario Draghi è artefice di una scelta politica nuova e ha incluso nella compagine governativa forze politiche di destra, populiste, allettate da una legittimazione così autorevole ed egli pure, esponente alto di un potere tecnocratico, cerca una legittimazione politica per governare e portare il Paese fuori dalla palude.

Così Matteo Salvini rinuncia ai suoi anatemi antieuropei, i 5 Stelle mostrano di gradire il governo Draghi, loro paladini dell’anticasta e Draghi può rivestire di valori condivisi, di veste umana il volto della tecnocrazia da sempre vista come un nemico silente ma presente. Non si tratta di persone, ma di strategie e processi che preludono a mutamenti nell’assetto delle nostre democrazie.

Il “rischio calcolato” delle aperture decise in questi giorni accontenta la destra ma cerca soprattutto di far ripartire l’economia; il discorso del premier per il 25 aprile riafferma i valori forti della Repubblica senza esitazioni; la presentazione in Parlamento del Recovery Plan pone linee guida e priorità importanti (il Sud, le donne, i giovani) con un discorso politico preciso che da molto non sentivamo.

Draghi non fa miracoli, ma ciò che è possibile, non poco, nella situazione presente; chi aspetta i miracoli cerca le stimmate nelle proprie mani, ma non vede la realtà. Non sprechiamo quindi questa occasione.

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