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Lobby. Il lavoro che non osa pronunciare il proprio nome

C’è più di un lavoro che non osa pronunciare il proprio nome. Lo spazzino, l’impresario di pompe funebri e il lobbista. Il primo diventa operatore ecologico; il secondo dipende dalla creatività personale, una volta l’ho sentito chiamare “taxi disteso” e il terzo diventa public affairs manager.

Per la rubrica Lobby non Olet di Telos A&S ne abbiamo parlato con Claudio Velardi, il primo lobbista in Italia ad avere avuto il coraggio di chiamare la sua impresa “società di lobbying”. Fino ad allora nessuno studio professionale aveva osato definirsi in questo modo. Il ragionamento però non fa una piega. Se facciamo lobby, diciamo che facciamo lobby, senza crisi identitarie.

“Io sono stato il primo a fondare in Italia una società che aveva esplicitamente la dicitura società di lobbying e public affairs. Questo nel 2000. Fino ad allora nessuno in realtà si dichiarava lobbista. Oggi lo fanno in tanti. Sono tanti, bravissimi professionisti” ricorda Velardi. Guarda la video intervista.

Fortunatamente, anche grazie al coraggio dei pionieri, le cose cambiano. Mai come in questo momento fioriscono corsi di formazione e master universitari che riportano nel titolo la parola lobby. I giovani che li hanno frequentati non avranno nessun problema ad autodefinirsi lobbisti. Non rinnegheranno certamente i loro studi e le loro inclinazioni.

Quasi sempre il processo di accettazione sociale di una parola è lento. Per quanto riguarda gli impresari di pompe funebri, Taffo Funeral Services, grazie alla verve del creativo Riccardo Pirrone, ha dimostrato che non solo non bisogna vergognarsi a lavorare per le pompe funebri, ma anche che possiamo farci due risate su un tema spaventoso come la morte.

Il 30 aprile del 1895 il pubblico ministero Charles Gill chiede a un imputato, accusato di sodomia, di spiegare cos’è “l’amore che non osa pronunciare il proprio nome”. Questa la risposta: “è un grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane, quale vi fu fra Davide e Gionata, quale Platone mise alla stessa base della sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare – quell’affetto profondo, spirituale, che non è meno puro di quanto sia perfetto, e che detta grandi opere d’arte come quelle di Shakespeare e Michelangelo […], che in questo secolo viene frainteso – talmente frainteso che per esso mi trovo dove sono adesso”. Gli atti del processo riportano che queste parole provocarono “applausi sonori nella galleria del tribunale”. L’imputato era Oscar Wilde che fu condannato a due anni di carcere e ai lavori forzati.

La similitudine tra lobby e omosessualità è decisamente impropria, ma ci insegna a non aver paura delle parole. A non girarci intorno, andando dritti al punto, chiamando il pane pane e il vino vino.

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