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La Russia mette lo zampone in Myanmar. E anche Pechino si preoccupa

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha invitato al dialogo alle parti coinvolte nella crisi birmana, mentre Pechino respinge l’ipotesi di nuove sanzioni e chiede la stabilità per l’intera regione. I militari continuano con la sanguinosa repressione e i tentativi di censura delle piattaforme digitali, e alla parata si presenta il vice-ministro della difesa russo

Aumenta il bilancio dei morti in Myanmar. L’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici ha confermato che dal colpo di Stato del 1° febbraio, 543 civili, di cui 40 minorenni, hanno perso la vita negli scontri con le forze di sicurezza.

Per l’ong Save the Children, la crisi è “particolarmente terrificante”, giacché molti bambini e adolescenti sono stati uccisi mentre si trovavano nelle loro case, non in mezzo alle manifestazioni. Circa 2700 persone sono scomparse o in stato di arresto, e molte sono in isolamento, senza avere accesso ad avvocati o contatti con i famigliari.

Dopo diversi blackout e tentativi di oscurare i social network, la giunta militare ha messo in atto un’altra strategia per bloccare il flusso di informazione su quanto sta succedendo nel Paese. Il ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni birmano ha annunciato che sospenderà i servizi di dati a banda larga wireless fino a nuovo avviso. Il provider locale Ooredoo ha spiegato che i collegamenti su rete fissa in fibra funzioneranno ancora, anche se a velocità molto ridotta.

L’aggravarsi della crisi birmana è stato argomento di dibattito nell’ultima riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su richiesta del Regno Unito. Il presidente del Consiglio, Dang Dinh Quy, rappresentante permanente del Vietnam all’Onu, ha dichiarato alla fine dell’incontro che il dialogo tra tutte le parti coinvolte nella crisi in Myanmar deve essere portato avanti rapidamente, al fine di evitare altri disordini e morti. Quy ha condannato l’uso della violenza contro i manifestanti pro-democrazia, e ha lanciato un appello a favore del dialogo. Per alcuni media internazionali, non sono escluse a breve altre sanzioni contro i militari di Myanmar (qui l’articolo di Formiche.net sulla strategia degli Usa contro la giunta militare birmana).

Intanto, anche la Cina è preoccupata per la instabilità della crisi in Myanmar. L’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun, ha dichiarato che spera si “ripristini presto la pace, la stabilità e l’ordine costituzionale e continui la sua transizione democratica nel Paese”. E ha sottolineato che Pechino non è disposto ad approvare sanzioni contro la giunta militare che “aggraverebbero ulteriormente la situazione”.

“La richiesta di sanzioni o altre misure coercitive non faranno che aggravare la tensione e complicherebbero ulteriormente la situazione – ha aggiunto Zhang -. Mantenere la pace e la stabilità in Myanmar è nell’interesse della comunità internazionale. Se il Paese dovesse scivolare in una prolungata turbolenza, sarebbe un disastro per la regione”.

“Ci auguriamo che tutte le parti in Myanmar possano mantenere la calma, esercitare moderazione e intraprendere azioni con un atteggiamento costruttivo per allentare le tensioni”, ha aggiunto.

Intanto nel Paese sta mettendo lo zampino la Russia. Quando la giunta militare ha celebrato la Giornata delle forze armate nella capitale Naypyidaw con una parata con carri armati, missili e aerei militari, non mancavano i MiG-29 di fabbricazione russa.

Sette paesi asiatici hanno inviato delegazioni di basso profilo all’evento ospitato dal generale Min Aung Hlaing. Ma il funzionario più alto in grado a presenziare veniva da lontano, come racconta il Financial Times: si trattava di Alexander Fomin, vice ministro della Difesa russo.

La Russia si sta infilando in un vuoto diplomatico creato dalle altre principali potenze mondiali, che non hanno ancora deciso se (e in che modo) relazionarsi con la giunta golpista. L’atteggiamento di Mosca fa eco alla sua decisione del 2015 di prestare sostegno militare al regime paria del presidente Bashar al-Assad in Siria, contribuendo a ribaltare le sorti della guerra civile a favore del dittatore.

“In termini di apparenza, sì, è un grande dito medio all’Occidente. Un modo di dire ‘noi possiamo fare quello che vogliamo’”, ha detto Alexander Gabuev del Carnegie Moscow Center, commentando la decisione di inviare un alto funzionario a Naypyidaw.

La mossa di Mosca è opportunistica, guidata anche dall’obiettivo di vendere armi. I legami della Russia con il Myanmar risalgono all’ex regime militare e sono continuati durante il decennio di democrazia. Mosca ha puntato su legami politici ed economici più stretti con i paesi asiatici da quando è sotto sanzioni per l’annessione della Crimea.

Il vice-ministro Fomin ha rapporti di lunga data con i funzionari del Myanmar grazie al suo precedente lavoro come capo del dipartimento di cooperazione tecnico-militare del ministero della Difesa. Ha contribuito a vendere parte delle armi russe esposte nella parata birmana.

Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute – citato da FT – la Russia è il secondo più grande fornitore di armi del Myanmar dopo la Cina. L’esercito birmano è in attesa della consegna di sei caccia Sukhoi Su-30 ordinati nel 2019, e le due parti a gennaio hanno firmato contratti per un sistema di difesa aerea russo e una suite di droni di sorveglianza tattica.

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