Il romanzo familiare di Pierfrancesco Leopardi”, di Raffaele Urraro pubblicato da Olschki nel 2020 è una ricerca assai complessa, estremamente interessante, che ruota sulla vita dei familiari del poeta di Recanati ed in particolare sul fratello minore, la consorte e i figli .
Si tratta delle figure di Pierfrancesco Leopardi e della moglie Cleofe Ferretti che assicurarono la discendenza di casa Leopardi e dell’intreccio che si crea tra la vita di costoro e degli altri familiari .
Il titolo della ricerca introduce, in un coinvolgente romanzo familiare, che sviluppa – attraverso una attenta documentazione, la storia di almeno tre generazioni di Leopardi a partire dai noti genitori del Poeta Giacomo, il conte Monaldo Leopardi e la contessa Adelaide Antici.
Si ha, sin dalle prime pagine, l’impressione non solo di addentrarsi nella trama di un romanzo, fino a ritrovarsi tra le quinte e il palcoscenico di una vera e propria “terrena commedia”, in un teatro di situazione dove i personaggi appaiono e scompaiono sulla scena, lasciando ognuno una traccia ben evidente nei documenti epistolari e negli scambi documentati che la paziente ricerca e l’attenta lettura di Urraro in primo luogo ricostruiscono. Tuttavia lo studio confronta, mette in relazione, sia attraverso precedenti pubblicazioni sia attraverso proprie intuizioni, rivelando la particolare cura dell’autore e la dedizione ad una ricerca inesauribile e instancabile dell’amato poeta Giacomo Leopardi, della sua storia letteraria e umana.
Chi ama il Poeta ne ricerca le tracce anche occupandosi della vita dei suoi fratelli, si interroga della sua esistenza, ricercandone frammenti e riverberi nella vita dei suoi cari, di chi gli è stato vicino, di chi ha raccolto le testimonianze dirette della sua esistenza, di chi ne ha condiviso i momenti , di chi ha preso parte anche ad un solo istante della sua quotidianità.
Da questo romanzo si evincono proprio i particolari di una esistenza imperniata sui rapporti fraterni di Giacomo ,Carlo, Paolina e Pierfrancesco, il minore dei figli; dell’affetto profondo che unisce i quattro fratelli, dell’amore controverso nei riguardi dei loro genitori e dell’intuizione che li rende immediatamente consapevoli della grandezza dell’ingegnoso e straordinario Poeta loro congiunto.
La stima di Pierfrancesco, che ha appena nove anni, verso il fratello Giacomo si evince già da una letterina di Natale del dicembre 1822 indirizzata al fratello, maggiore di lui di quattordici anni.
Giacomo si complimenta col fratello minore, il quale tiene a fargli sapere che ha scritto di suo pugno la lettera e anzi gli chiede in dono un libretto o una figurina stampata da cui apprendere qualcosa di buono per la sua formazione.
Giacomo che loda moltissimo il suo giovane fratello di lì a poco gli raccomanda di allenarsi con continuità e di applicarsi alla scrittura, perchè “il fare è il miglior modo d’imparare” nell’esercizio del comporre.
Il legame profondo che già è profuso da questo scambievole affetto che, tutto si evince dalle prime lettere e dagli scambi tra Giacomo e Pierfrancesco, segnerà in modo particolare le vicende del romanzo familiare di Pierfrancesco che deve aver tramandato ai suoi figli ed in particolare a Giacomo , nato il 24 marzo 1843.
Giacomo porta il nome dello zio famoso e conserva in sé il profondo amore e l’assoluta sua volontà di dedicarsi alla salvaguardia del patrimonio degli scritti e dei volumi della biblioteca leopardiana di cui fu fondatore e curatore .
Potrebbe davvero dirsi una storia teatrale tutta imperniata sui difficili giochi dell’eredità familiare e letteraria del grande letterato, poeta, filologo e filosofo , una eredità dapprima affidata alla madre Adelaide Antici che si occupò di salvare i beni materiali della casa e della famiglia, quasi dispersi e dilapidati dal conte Monaldo, incapace di gestire le finanze della sua casa, ma grandemente occupato nell’investimento più importante della formazione dei figli e degli studi letterari e culturali oltrechè della sua cura attenta e raffinata della biblioteca di Palazzo di Monte Morello a Recanati.
Tale eredità gestita attraverso un modus vivendi estremamente autoritario, parsimonioso, calcolatore e freddo fece sì che Adelaide riuscisse ad estinguere tutti i debiti, anche in anticipo rispetto alla situazione sull’orlo del precipizio economico. Ciò nonostante, Adelaide non allentò la sua tensione e rimase vigile e dispotica sul patrimonio della famiglia anche quando le finanze non erano più in pericolo. Questo suo atteggiamento accentratore ed estremamente parsimonioso è noto si riversava anche nei rapporti con i figli , con il marito Monaldo e successivamente segnò negativamente i rapporti con le nuore e, in modo particolare, con la nuora Cleofe e con i suoi figli.
Negli anni in cui si andava consolidando il mito leopardiano e dell’immenso suo genio, Pierfrancesco rimasto sempre ligio alle idee dei suoi genitori, nonostante avesse dimostrato da giovanissimo ribellioni e ripensamenti segnati da colpi di testa che costarono molto in termini di delusioni e sacrifici paterni, si mise a difendere strenuamente la figura del padre Monaldo, dei suoi interessi culturali sorretti da vasti e profondi studi, dell’amore e del legame con la dottrina di stampo antico , una dottrina serissima che fu però generosa sia per l’acquisto di libri nuovi di cui non badò mai a spese ,sia per l’apertura ai Recanatesi e a tutti gli studiosi della biblioteca.
Una generosità che appartenne anche a Pierfrancesco e che erediterà il di lui figlio, Giacomo , il quale con grande spirito si adopererà affinchè vengano recuperati tutti gli scritti, le lettere, i documenti, e la grandissima mole del patrimonio letterario dello zio Giacomo , basti solo citare lo Zibaldone .
Scritti “ …di ben 4.526 facce lunghe e larghe mezzanamente, tutte vergate di man dell’autore, d’una scrittura spesso fitta, sempre compatta, eguale, accurata, corretta…” che Giacomo curò di voler aprire agli studiosi dell’illustre zio, cedendo allo Stato al Ministero della Pubblica Istruzione ogni suo diritto su i documenti depositati presso il Pio Monte della Misericordia in Napoli e di seguire la questione legale e giuridica della proprietà e dei diritti della produzione leopardiana di cui, noi lettori, gli siamo profondamente debitori da almeno centottantaquattro anni, insieme agli studiosi che sin da subito si appassionarono agli studi leopardiani.
Raffaele Urraro, con il suo romanzo, non ha solo il merito di far muovere sulla scena i personaggi della famiglia Leopardi, e non ha solo il merito di esporre alcuni cartigli utili a conoscere le vicende più intime che svelano i caratteri e la psicologia dei familiari dell’amatissimo genio , ma ha anche il merito di sottolineare la faticosa eredità letteraria curata , ricostruita e difesa da Pierfrancesco e da suo figlio Giacomo. Attraverso battaglie legali e riappropriazioni notarili, il figlio di Pierfrancesco Leopardi, Giacomo , cerca indefessamente di restituire allo Stato un patrimonio letterario ed umano di notevole importanza fatto di “ un numero grandissimo di pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, note, conversazioni, discussioni…del giovine illustre con se stesso, su l’animo suo, la sua vita, le circostanze…”
Urraro rende così, nuovamente, noto il lavoro della commissione nominata dal Ministero della P.I. Il 14 ottobre 1897, presieduta da Giosuè Carducci , la quale ebbe il compito di “ riscontrare, ordinare e studiare” i manoscritti leopardiani dispersi e andati a finire in diverse mani , donati e dispersi dalla troppo buona e generosa Paolina divenuta oggetto di molti lusinghieri e complimentosi “pretendenti”, appassionati e studiosi del fratello Giacomo, trattenuti e celati indebitamente da Antonio Ranieri, forse abusati dalla megalomania della zia Teresa Teja , sposata in seconde nozze dallo zio Carlo Leopardi.
Sul palcoscenico girevole si avvicendano tre generazioni di Leopardi, tre generazioni di figli e nipoti, mogli, le quali sono nuore e sono cognate ed intrecciano le loro esistenze alla trama inesorabile di un romanzo importante, degna di un titano, che è quella della vita di Giacomo, il grande Poeta de “La Ginestra” .
Alla fine, quando tutti i fili di ordito hanno composto il loro disegno, il lettore innamorato di Leopardi supera persino l’astio di alcune figure che gettano ombre sugli abitanti del Palazzo di Monte Morello, su Casa Leopardi e sulla famiglia . Persino il fantasma della grettezza e dell’aridità è messo in fuga , rimane ed aleggia su tutto la “graziosa luna” e la potenza de “L’Infinito” oltre la siepe della mediocrità, oltre ogni meschino limite umano si staglia la luce di Giacomo, il conte “ erede consapevole di una gloria Imperitura” che ha mitigato l’asprezza degli ultimi eredi restituendo a Recanati, all’ Italia tutta e al mondo intero l’eredità autentica di Giacomo Leopardi , il suo patrimonio letterario, la sua poesia immortale.
L’Infinito.
Nelle trame di un romanzo: la famiglia Leopardi attraverso la costante ricerca di Raffaele Urraro
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