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Armi nucleari e come controllarle. L’analisi di Urso

Missili ipersonici, testate a bassa intensità e nuove dottrine. L’attuale regime di controllo degli armamenti appare superato dall’evoluzione delle dottrine geo-strategiche e dagli sviluppi tecnologici. Occorrerà elaborare una seria analisi dei mutamenti in atto. Dal numero di Airpress di marzo, l’analisi di Davide Urso, esperto di geopolitica, strategie nucleari ed energia

Vi è la necessità di un ripensamento complessivo del regime di arms control. Lo si dovrà elaborare partendo dall’analisi seria di tre punti-chiave: i mutamenti e le intersezioni in atto delle dottrine e degli equilibri geo-strategici; l’ammodernamento e l’innovazione tecnologici; il rovescio delle dinamiche sistemico-decisionali. Senza integrare questi tre elementi in una matrice comune, ha poco senso pensare in modo strutturato a un nuovo sistema di controllo degli armamenti.

Il rinnovo del trattato New start tra Stati Uniti e Russia è stato un sospiro di sollievo. Ma non elimina l’esigenza di un ripensamento del regime di arms control. Il rinnovo in questione appare rilevante per due motivi: primo, perché non annulla le verifiche reciproche tra i due Paesi; secondo, perché cinque anni potrebbero consentire di mettere le basi per un “New start allargato” ai nuclear weapons states (Nws) secondo il Trattato di non proliferazione (Tnp) e, possibilmente, agli Stati “detentori” dell’atomica, ma fuori dal Tnp (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord). Gli sviluppi tecnologici e la portata delle dinamiche geo-strategiche stanno rendendo il trattato bilaterale molto meno utile di quanto non lo fosse anni fa, senza contare che permangono molte carenze normative a partire dalle armi nucleari a raggio intermedio, le armi nucleari tattiche, nonché l’ammodernamento degli arsenali.

In più, i trattati dell’arms control non hanno mai avuto un equilibrio tra controllo-riduzione degli armamenti e non-proliferazione, con quest’ultima oggi non più divisibile. Se si aggiungono le aree geografiche in costante evoluzione, dal Medio Oriente all’India, i nuovi domini (spazio, intelligenza artificiale, cyber) e la crescita esponenziale delle capacità convenzionali, è evidente la necessità di ripensare l’arms control. Inseguire i singoli trattati sarebbe come continuare a tappare le buche di una strada invece di rifare il fondo e il manto: prima o poi, capiterà l’incidente.

Per quanto riguarda le dottrine e gli equilibri geostrategici, negli ultimi quindici anni si è assistito a situazioni del tutto nuove. Gli Stati Uniti hanno adottato decisioni ondivaghe, con una presidenza a siglare un accordo, l’altra a uscire, e l’altra ancora a rientrare, a fronte di un interesse vitale per il mantenimento della propria leadership strategica. La Russia mostra una linea aggressiva e mediatica, a fronte di un interesse vitale per la protezione del suo spazio strategico regionale. La Cina è emersa con investimenti imponenti nello sviluppo tecnologico, meno sbandierati a livello di marketing, basati su una strategia di avanzamento completo nella modernizzazione per il dominio degli spazi globali. Infine l’Europa, ovvero l’asse franco-tedesco, appare sostanzialmente priva di una politica comune di innovazione e sviluppo. Praticamente l’arms control è divenuto un gioco comparativo multipolare a geografia e velocità variabili tra competitor strategici.

Sul fronte dell’ammodernamento e innovazione dei sistemi operativi, per la prima volta assistiamo alla polarizzazione tecnologica del cosiddetto “uso del rischio”, e non il contrario, cioè il rischio dell’uso. L’infinitamente veloce (l’ipersonico) si lega all’infinitamente piccolo (le nano-tecnologie). In passato accadeva il contrario: la capacità distruttiva era legata all’interesse nazionale, in linearità con “arma più vettore”, quindi più facile per un approccio concreto al controllo degli armamenti.

I missili ipersonici sono in grado di viaggiare da Mach 5 fino a Mach 25 senza perdere la capacità di manovra con volo irregolare e a quote inferiori rispetto alla traiettoria balistica. Per il difensore si contraggono i tempi di alert, di rilevamento della minaccia e, dunque, di capacità di intercettazione. I vettori ipersonici possono essere armati con carica convenzionale o nucleare, che si aggiungono alla capacità distruttiva rappresentata dall’elevata energia cinetica posseduta dalla massa all’impatto. La capacità di difesa è quasi impossibile, dove il “quasi” è legato a due opzioni: o il difensore è dotato della stessa capacità offensiva (quindi nessuno spara per primo, nella classica logica di deterrenza), oppure è fornito di risposte di difesa-attacco idonee, non certo quelle anti-missilistiche attuali, basate su traiettorie di volo più alte. Si lavora, ad esempio, su esche che permettano di rendere vago l’obiettivo, su nano-tecnologie che ne rendano difficile la localizzazione, oppure su sistemi di sorveglianza anti-stealth capaci di rendere visibile l’invisibile.

C’è poi il campo delle testate a basso rendimento (low-yield), con resa esplosiva inferiore a dieci chilotoni. Sono meno letali delle testate nucleari classiche, ma non per questo meno pericolose. Se, da un lato, generano minori impatti fisici e un inferiore effetto panico a livello collettivo, dall’altro abbassano la soglia tra guerra convenzionale e nucleare, poiché possono generare una maggiore leggerezza decisionale nel loro utilizzo in caso di crisi non vitali.

Terzo punto per ripensare il sistema di arms control: il rovescio delle dinamiche sistemicodecisionali. L’attuale regime di controllo degli armamenti si è costruito su interessi nazionali precisi e di lungo periodo, sulla consapevolezza di rischi sistemici ai massimi livelli, dai quali discendevano le scelte tecnologiche e di equilibrio strategico. La catena decisionale era centrifuga, dal centro (analisi del rischio e dottrina geo-strategica) all’esterno (armi e vettori), fino alla edificazione del regime del controllo degli armamenti attraverso trattati bilaterali o multilaterali.

Oggi si sono rovesciate le suddette dinamiche a causa di interessi nazionali meno chiari e di breve-medio periodo, rischi sistemici forse inferiori per impatti distruttivi, ma esponenziali per magnitudo, una catena decisionale centripeta (dalla centralità degli sviluppi tecnologici alla perifericità dell’analisi del rischio) e soluzioni per lo più multipolari, basate su sfere di influenza e aree di interesse strategico. Il rovescio della medaglia è che le nuove decisioni sul regime di arms control saranno legate alla capacità delle industrie militari e strategiche (nazionali e regionali) di adattarsi al nuovo scenario e massimizzare i livelli di sovranità tecnologica.

Nei prossimi anni si assisterà quindi a un frenetico sostegno alle industrie strategiche pan-nazionali per evitare di passare rapidamente da una situazione di vantaggio a una di svantaggio (cosa impossibile in passato) e non erodere quote di competitività sui mercati di riferimento e internazionali. Questa frenesia potrebbe essere deleteria per la stabilità geo-strategica. Per questo, il regime di arms control dovrà dare massima importanza alle allocazioni e alle verifiche delle attività di ricerca e sviluppo, e delle disponibilità di infrastrutture di sviluppo e sperimentazione delle tecnologie.

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