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Il nucleare ha un futuro in Italia? I piani dell’Enea (e di Cingolani)

Al di là di ciò che ci sarà (o non ci sarà) nel Recovery plan appare difficile sfilarsi da una transizione ecologica che passa anche per il nucleare. Poco o nulla a che vedere con le vecchie centrali, dice la parte favorevole alla sperimentazione, per cui non solo vale la pena proseguire, ma destinare risorse e attenzione. Cingolani ci sta provando

La fusione nucleare è un treno da non perdere, continua a ripetere il Ministro Roberto Cingolani, mentre gli ambientalisti restano fermi sulle critiche. Il nucleare di nuova generazione nella transizione ecologica italiana è una partita dagli esiti sempre più incerti. Attraversa la politica e i movimenti i quali hanno guadagnato sì un Ministero nuovo di zecca, ma hanno davanti uno scienziato che parla chiaro.

Intanto l’Enea – una nostra eccellenza – va avanti con il megaprogetto sperimentale DTT (Divertor Tokamak Test) per la fusione nucleare. Il grande impianto per produrre energia rinnovabile con lo stesso principio che alimenta le stelle resta il più avveniristico piano di utilizzo di questa fonte nel “post fossili”. Parliamo di una struttura da collocare nella sede di Frascati destinata a generare energia per il Paese che tra i primi negli anni ’60 esplorò le alternative a petrolio e gas. Ora siamo in tutt’altra epoca e le buone intenzioni del neo Ministro vanno prese per quel che sono: un affrancamento graduale dai peggiori agenti climalteranti. L’immagine delle stelle, del resto, è la stessa che Cingolani usa per sostenere la necessità di inserire la fusione nucleare nella transizione verde italiana.

Quanto, ad oggi, sia realistica questa opzione non si sa. I dubbi sono molto diffusi, come si diceva. Negli italiani c’è il ricordo di un referendum vinto e il sentimento di ottenere tutta la green energy da eolico, fotovoltaico, idrogeno verde, biomasse. Ma ognuna di queste fonti pulite presenta dei problemi ed è fuori luogo negarlo. Sarebbe anche troppo lungo ripercorrere il perché e il per come negli anni si sono formati schieramenti favorevoli e contrari ad ogni trasformazione energetica. Nelle grandi aziende – le big oil – un tempo si scrutava il futuro e, quindi, si programmava e si investiva nell’interesse della collettività.

In un certo senso è il punto dirimente dell’oggi che si riflette nella soddisfazione dell’Enea per il suo disegno nucleare. Sul campo gli scienziati raccolgono partecipazione e soldi necessari. Alle parole del Presidente Federico Testa, felice per essere riuscito ad aggregare altre sei partner al DTT, si sono aggiunte quelle dello stesso Cingolani. L’Italia ha il dovere di potenziare la propria partecipazione attraverso il PNRR ai progetti internazionali, ha detto. Una prospettiva nella quale Politecnico di Torino, Università della Tuscia, Milano Bicocca, Roma Tor Vergata e Istituto di fisica nucleare si sono uniti all’Enea nello sviluppo dell’impianto di fusione. Stanno andando bene anche le gare per lo sviluppo che hanno superato gli 85 milioni di euro nel costo complessivo di oltre 600 milioni. Tutto è nella disponibilità della Società DTT Scarl che presidia l’intero business.

“L’ingresso di sette nuovi soci con elevate competenze è un importante valore aggiunto per questo progetto sfidante e complesso. Il DTT è la più importante infrastruttura di ricerca a livello nazionale prevista negli ultimi decenni, un’opportunità unica per consolidare il primato scientifico, tecnologico e industriale raggiunto dall’Italia in un settore che ha portato a successi importantissimi, anche a livello economico”. E le risorse economiche restano centrali.

Al di là di ciò che ci sarà (o non ci sarà) nel Recovery plan appare difficile sfilarsi da un domani riconvertito anche grazie al nucleare. Poco o nulla a che vedere con le vecchie centrali, dice la parte favorevole alla sperimentazione, per cui non solo vale la pena proseguire, ma darvi spazio. Cingolani ci sta provando. La Bei, per esempio, ha fatto proprie valutazioni economiche inserendo il DTT tra i Progetti Strategici europei.

Vi ha accordato un prestito di 250 milioni di euro, dato che i suoi analisti vedono nel futuro impianto ricadute di oltre 2 miliardi di euro e migliaia di nuovi posti di lavoro. IL DTT si collega anche ad altri programmi europei come l’ITER e il DEMO destinati a dare elettricità in una dimensione continentale e sempre da fusione nucleare. C’è qualcuno che alla fine avrà la forza di fermare tutto questo? E le Università e i centri di ricerca che sostengono il DTT sono tutti sulla strada sbagliata? Il governo ascolterà le parti in causa, ma non deciderà pensando solo ai soldi del Recovery.

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