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Operazione Takuba, importante per l’Europa (occasione mancata per l’Ue?)

Di Daniele Curci
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È iniziata a marzo una nuova missione militare in Mali a guida francese, l’operazione Takuba, che coinvolge molti Paesi europei a cominciare dall’Italia. L’operazione è una missione europea nata al di fuori del quadro dell’Ue per far fronte a delle problematiche che riguardano Bruxelles quanto le capitali degli Stati membri

A marzo è iniziata ufficialmente l’operazione Takuba, una nuova missione militare in Mali a guida francese che coinvolge molti Paesi europei a cominciare dall’Italia: Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Grecia. A questi sono da aggiungere i G5 dello Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad), sempre coordinati da Parigi.

Nonostante le informazioni che circolano sulla missione siano pochissime, quel che sappiamo è che si tratta di una task force composta da forze speciali finalizzata all’addestramento e all’accompagnamento delle forze armate saheliane nelle operazioni di contrasto al terrorismo. Riguardo al ruolo dei militari italiani lo Stato Maggiore della Difesa ha dichiarato che “al momento sono in afflusso i primi nuclei di personale incaricati dello svolgimento delle iniziali attività logistiche che prevedono, tra l’altro, l’impianto di una struttura infermieristica con capacità Role 1, di stanza a Menaka. L’obiettivo della missione è quello di assist, advise e accompany a favore delle forze locali maliane”, confermando quindi l’impegno dei militari italiani nel quadro più generale della missione. Inoltre: “In tale contesto, la partecipazione delle Forze Armate italiane si articolerà su assetti elicotteristici per il trasporto e l’evacuazione medica e su unità di addestratori in accompagnamento alle forze locali che opereranno di concerto con i contingenti degli altri partner internazionali e della Forza congiunta dei G5 Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso)”.

Contrariamente a quel che si potrebbe pensare per i Paesi europei coinvolti non sono gli interessi economici la ragione primaria dell’intervento. Il Sahel è infatti una regione fondamentale per gli aspetti securitari dell’Europa – contrasto allo jihadismo e ai traffici illeciti – e per il controllo delle migrazioni: consolidare gli equilibri della regione è un obiettivo fondamentale per la stabilizzazione più ampia dell’Africa. Lo stesso ministro della Difesa Lorenzo Guerini in un’intervista al quotidiano La Repubblica sosteneva infatti di guardare alle varie missioni italiane nel continente africano come ad un’unica area di crisi.

Secondo l’Africa Center for Strategic Studies, un istituto di ricerca del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, nel corso del 2020 le violenze ad opera dei gruppi fondamentalisti in Africa sarebbero aumentate del 43% rispetto al 2019.  Lo Stato Islamico (Isis) ha trovato nuova vita nel continente attraverso delle alleanze con gruppi militanti locali che hanno portato nuove reclute e finanziamenti, ma anche visibilità. Uno degli esempi più recenti è l’attacco alla città di Palma, in Mozambico, al confine con la Tanzania, vicino ad un importante sito di estrazione di gas. Dallo Sahel al Sudan i gruppi armati che fanno riferimento alla galassia del fondamentalismo islamico sono quindi aumentati a tal punto da coinvolgere zone prive o quasi di infiltrazioni jihadiste. Per contrastare queste insorgenze sono attive diverse missioni, sia sotto l’egida delle Nazioni Unite che dell’Unione europea. Altre, come Barkhane, sono a guida francese.

Per Emmanuel Macron riuscire nell’intento di ridurre l’impegno dei soldati francesi in Africa, mantenendo comunque lo stato di medio potenza, è un obiettivo da centrare anche in vista delle elezioni presidenziali che si terranno tra meno di un anno. Già durante il  discorso alla Sorbona del 2017 il presidente francese aveva fatto riferimento alla necessità di una strategia europea comune che fosse in grado di europeizzare non solo la politica estera, ma anche la difesa e quindi le missioni internazionali. Sin dall’inizio della crisi nella regione che riguarda Takuba, il Sahel, Parigi ha quindi cercato il supporto dei partner europei, senza però riuscire ad andare al di là del sostegno finanziario e di training in missioni come l’European Union Training Mission – Mali (EUTM) e l’European Union Capacity Building Sahel Mali (EUCAP).

I primi soldati francesi in Sahel sono arrivati nel 2013, quando l’esecutivo maliano aveva richiesto l’intervento della Francia per contrastare l’avanzata di gruppi armati jihadisti nel nord del Paese (Opération Serval). L’anno seguente, per far fronte alla natura transfrontaliera dello jihadismo locale, venne deciso da Parigi di estendere l’area delle operazioni allo Sahel con l’Opération Barkhane. Parallelamente venne lanciata, sempre con sostegno francese, un’iniziativa securitaria multilaterale da parte degli Stati coinvolti: il G5 Sahel. Ciononostante, negli anni gli attacchi rivendicati da gruppi affiliati ad al-Qaeda e Isis si sono moltiplicati mettendo in luce la fragilità della strategia franco-africana. La morte di diversi soldati francesi, inoltre, ha reso difficile sostenere l’impegno militare di fronte all’opinione pubblica francese, così come la morte di alcuni civili hanno esacerbato il malcontento delle popolazioni locali.

L’Europa ha due spade di Damocle sulla sua testa: il terrorismo e i rapimenti, ma anche le migrazioni illegali”, aveva affermato la ministra delle Forze armate Florence Parly nel giugno 2019. Basandosi su questo concetto, in linea con l’indirizzo di politica estera di Macron, la Francia annunciò ad ottobre del 2019 di avere iniziato dei colloqui con i partner europei per creare una task force composta da forze speciali da mandare in Mali per affiancare le forze del G5. Un mese dopo, il 5 novembre 2019, la stessa ministra rese noto, a margine di una visita in Mali, la creazione di Takuba. Macron sottolineò l’importanza della nuova missione a gennaio 2020, durante la conferenza stampa a margine del vertice di Pau che ha riconosciuto la centralità francese nello Sahel. Il 27 marzo 2020 una dichiarazione congiunta dei vertici dei Paesi Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Mali, Niger, Olanda, Norvegia, Portogallo, Svezia e Regno Unito informò della creazione della task force Takuba per far fronte all’aggravarsi della situazione in Mali e nello Sahel. L’Italia aderì il 16 luglio 2020 con l’approvazione del decreto missioni. Nel frattempo, il 30 giugno, il summit di Nouakchott aveva confermato l’impegno assunto nella regione dai Paesi precedentemente citati. A febbraio del 2021, infine, il vertice di N’Djamena, oltre a registrare le tensioni che si erano già verificate tra Parigi e i paesi del G5 riguardo la possibilità di aprire un canale di dialogo con gli insorti jihadisti, dette un nuovo impulso “politico e diplomatico” alla coalizione franco-saheliana.

A fronte di quanto detto è evidente che l’operazione Takuba sia una missione europea nata al di fuori del quadro dell’Unione europea per far fronte a delle problematiche che riguardano Bruxelles quanto le capitali degli Stati membri. Nonostante missioni come questa possano creare quell’unità di intenti e di visioni cui anche Macron faceva riferimento nel discorso della Sorbona del 2017, è un’occasione mancata per l’europeizzazione della difesa. L’affollamento di missioni, diverse delle quali coordinate da autorità differenti, rischia inoltre di essere d’intralcio alla realizzazione degli obiettivi, facilitando la penetrazione di Cina e Russia in Africa, diminuendo così l’influenza francese ed europea.

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