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Cosa c’è dietro allo scontro sui vaccini. Scrive Paganini

Il settore farmaceutico, e la pandemia lo dimostra, è strategico per la stabilità, la solidità, e il benessere di un paese. Sarebbe opportuno formare una cabina di regia, magari interministeriale, insieme all’industria, per affrontare il domani, per meglio indirizzare e gestire gli investimenti e i ritorni pubblici e privati. Il commento di Pietro Paganini

Durante i periodi di cambiamenti rapidi e violenti, i conflitti sociali si deteriorano. Questo è vero sempre, dalle guerre alle pandemie. Vale soprattutto per la pandemia attuale. La natura di questi conflitti ha origini antiche che in nuove forme si ripresentano nel tempo. Ne è un esempio lo scontro intorno ai vaccini tra aziende farmaceutiche da una parte e istituzioni, media e partiti, consumatori, Ong, dall’altra.

Questa è ideologica, storicista per l’esattezza, perché contrappone chi come le aziende farmaceutiche è accusata (possedendo i mezzi di produzione) di speculare sulla salute dei cittadini a chi crede emotivamente – non razionalmente – nel sogno vago di una società perfetta. Le responsabilità di questo scontro sono complesse e vanno ricercate nella scarsa attenzione che la nostra società assegna alla responsabilità individuale e al metodo sperimentale della scienza, e quindi al senso critico, di cui i cittadini si dovrebbero servire.

Ne segue che il problema sta in entrambi gli schieramenti di questo conflitto storico. Le aziende farmaceutiche sono delle organizzazioni di individui che perseguono dei loro fini producendo composti da cui traiamo vantaggio anche noi cittadini, nella migliore tradizione Smithiana. Il successo di una nuova cura e di terapie innovative dipende dall’impegno degli imprenditori, degli investitori, dei ricercatori, dei dipendenti, e più in generale di tutti i soggetti coinvolti (stakeholder si chiamano oggi con termine inglese) nel perseguire quegli obiettivi. Se si limitano questi interessi, se si inibisce la propensione all’investimento e quindi al risultato utile, e se si inibisce l’imprenditorialità, muore l’innovazione.

Questi obiettivi o interessi non sono necessariamente economici o finanziari. Ci sono anche questi, e non possiamo né dobbiamo inibirli. Possiamo semmai regolarli, attraverso la legge, affinché si mantenga un equilibrio tra gli obiettivi di chi investe, intraprende e ricerca, e i benefici che ne ricavano i cittadini. Di fatto, il mercato del farmaco è tra i più regolati, proprio per tutelare i cittadini e in alcuni casi, anche per nascondere le inefficienze dei sistemi sanitari.

I medesimi obiettivi non vengono a mancare nemmeno quando pensiamo di sostituire l’iniziativa individuale con quella pubblica, cioè finanziata e gestita direttamente dallo Stato. Con la partecipazione pubblica si affievolisce l’interesse finanziario, ma restano gli altri. Lo Stato ha dimostrato di poter contribuire con efficacia alla ricerca farmaceutica, ma non può sostituirsi al mercato. Anche perché è grazie alla concorrenza, che piaccia o no, che le farmaceutiche producono cure nuove e diverse.
Si è scritto che la ricerca delle case farmaceutiche è anche finanziata dallo Stato. Questo dovrebbe suscitare nelle aziende farmaceutiche una morale forte di debito nei confronti dei cittadini. Ma non può e non deve essere così.

Semmai, sono gli Stati che dovrebbero porre delle condizioni nel momento in cui erogano risorse per la ricerca. La Ue avrebbe versato centinaia di milioni alle farmaceutiche per la ricerca nei vaccini. Ora si pretende che i vaccini siano gratuiti o comunque, i brevetti sospesi. È un ragionamento ideologico sbagliato. Semmai le condizioni andavano poste prima. Lo Stato investe per assicurare ai cittadini cure migliori. Se vuole che queste cure siano gratuite o più facilmente accessibili lo deve chiedere prima. Lo Stato, di fatto, impone in partenza il prezzo dei farmaci.

Piuttosto che perdersi in queste inutili discussioni ideologiche che polarizzano il conflitto senza risolverlo e piuttosto che agire in modo scomposto con ritorsioni farlocche, tipo bloccando farmaci negli aeroporti, è meglio ragionare in un contesto di politiche industriali e strategiche. Il settore farmaceutico, e la pandemia lo dimostra, è strategico per la stabilità, la solidità, e il benessere di un Paese. Sarebbe opportuno formare una cabina di regia, magari interministeriale, insieme all’industria, per affrontare il domani, per meglio indirizzare e gestire gli investimenti e i ritorni pubblici e privati.

Questa proposta mi riporta al punto iniziale delle responsabilità. Le aziende farmaceutiche, o meglio una parte della sua governance, non è immune da colpe. Per troppi anni ha dialogato e ragionato unicamente con i vertici politici e istituzionali, evitando di coinvolgere i cittadini. Quindi, la scarsa consapevolezza della scienza e del metodo sperimentale, così come l’antipatia epidermica verso l’industria, sono sbagliati, ma comprensibili.

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