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La Pasqua delle nostre speranze. Scrive Delle Foglie

Questa Pasqua, la seconda sotto il segno del Covid, bisogna curare le angosce e mettere in ordine le priorità, non solo personali. Dalla contabilità sociale alla scuola

C’è Pasqua e Pasqua. E quella del 2021 è la seconda sotto il segno del Covid. La seconda in lockdown. La seconda da vivere in semi solitudine. Nella speranza che questo sia davvero l’ultimo miglio che ci divide dall’approdo all’immunità guadagnata con le mascherine, il distanziamento, la rarefazione sociale. Ma soprattutto con la vaccinazione di massa.

Questi giorni, però, vanno vissuti. E se possibile, intensamente. Non, dunque, a bassa intensità, cioè reprimendo ogni slancio vitale. Perché ogni mancanza di cautela può costarci cara, ogni più piccola disattenzione può infilarci nel tunnel dell’infezione, ogni gesto meno che misurato può favorire il nemico invisibile che ci ha portato via qualcuno. Eppure bisogna vivere, non sopravvivere. Ecco perché questi sono i giorni più importanti per alimentare la speranza. Un ottimo esercizio non solo per curare le nostre angosce, che pure non mancano, ma soprattutto per ricominciare a mettere in ordine le nostre priorità, non solo personali.

Alimentiamo, dunque, la speranza, provando a scrivere la nostra personalissima lista di attese, impegni, opportunità. Sì, magari senza strafare, perché le circostanze esterne non lo consentono, ma cercando di delineare un orizzonte possibile per noi, per i nostri figli, per le nostre comunità e per il nostro Paese. Abbiamo un bisogno disperato di mettere il segno “più” dinanzi a tutto, tranne che al numero dei contagiati, dei ricoverati in terapia intensiva e dei morti.

Dunque, un segno “più” innanzitutto alla nostra contabilità sociale. Se il biennio 2020-2021 sarà ricordato come quello della falce pandemica che si è abbattuta sui nostri nonni, è assolutamente necessario far crescere la curva demografica. Nella seconda parte dell’anno dobbiamo sperare non solo in una brusca frenata della mortalità causata dalla pandemia, ma soprattutto in un grande rimbalzo delle attese di nuove nascite. Ogni bambino che nascerà nel prossimo futuro sarà una benedizione non solo per i loro genitori e le loro famiglie, ma soprattutto per il Paese. Le recenti decisioni assunte dal Parlamento in materia di aiuti alle famiglie con figli, attraverso l’assegno unico, vanno certamente nella direzione giusta di incentivare le nascite attraverso un sostegno concreto e convinto. Un’autentica iniezione di speranza venuta da un luogo, il Parlamento, spesso sentina di cinismo. Dunque, due volte, benvenuta.

Il secondo segno positivo va posto nelle classifiche del lavoro. Di ogni genere: da quello pubblico a quello privato, da quello dipendente a quello autonomo, da quello operaio a quello sociale, sino a quello professionale, intellettuale e imprenditoriale. E per farlo occorre non perdere neanche un colpo. Ottimo segnale quello venuto dal governo, con il rilancio dei concorsi pubblici attraverso procedure innovative. Ma la speranza deve trovare la forma del rischio personale, familiare e imprenditoriale così come della responsabilità di chi ha il dovere di programmare lo sviluppo. Un segno di speranza, dunque, è quello di tornare a investire quella montagna di miliardi di euro che le famiglie italiane ha congelato nelle banche, nella sua corsa al risparmio generata dalla paura.

Un segno “più” va registrato subito per scuola, università e cultura. La speranza è quella di non aver perso per strada troppi talenti, di non aver bruciato anni di preparazione culturale di intere giovani generazioni, di poter recuperare nel più breve tempo possibile il gap accumulato. Ma soprattutto di poter fare un grande balzo in avanti per poter garantire l’unica vera chance che possiamo offrire a tutti i nostri figli e nipoti: la cultura come ascensore sociale. Un fattore di uguaglianza irrinunciabile e motore esso stesso di speranza.

Infine l’ultimo segno positivo va posto sulla buona politica. Quella che sa guadagnare il consenso con la serietà e che sa interpretare le speranze del popolo, senza dover necessariamente cavalcare le peggiori pulsioni che pure si agitano negli animi dei singoli e delle comunità quando le condizioni generali sembrano tutte remare contro. Alla buona politica non può e non deve bastare la resilienza, quanto seminare la speranza che sapremo uscire da questa lunga notte della pandemia. E che soprattutto lo faremo insieme. Tutti insieme.

Ecco cosa dice questa nostra Pasqua diversa. Per i credenti la speranza è un uomo di nome Gesù. Per tutti, credenti e non credenti, la speranza è poter scrivere un grandissimo “più” sulla voce “vita”.



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