Il successo della transizione energetica non dipende solo dall’innovazione tecnologica, ma soprattutto dall’innovazione dei sistemi di governo e regolazione dei mercati. Le giuste misure politiche, finanziarie e sociali di riforma sono essenziali per creare percorsi economicamente praticabili. Prima dei breakthrough tecnologici conta l’innovazione di sistema, scrive Arvea Marieni
La transizione verso un’economia a zero emissioni richiede investimenti mastodontici nelle infrastrutture abilitanti e nella diffusione su larga scala delle tecnologie. In questo ambito Unione europea e Cina vanno in parallelo: in primo luogo, con la sistematizzazione quasi speculare delle rispettive tassonomie. Come possibile pezzo di un puzzle operativo per la cooperazione internazionale nel settore, va ricordato il Green finance committee (Gfc) della China society for finance and banking. In collaborazione con la City of London’s green finance initiative (Gfi) sono stati definiti i Green investment principles (Gip) for la Belt and road initiative (Bri) con l’obiettivo di incorporare principi di sviluppo sostenibile nella Bri, incoraggiando le istituzioni finanziarie, le società e le istituzioni terze coinvolte a firmare un codice volontario.
Questa sarà una priorità per la Banca centrale cinese durante il quattordicesimo piano quinquennale (2021-2025), come ha dichiarato il governatore della banca. Lo scopo è conseguire gli obiettivi di abbattimento delle emissioni e carbon neutrality incoraggiando investimenti verdi con un approccio market-based. I Gip consolidano sette principi a tre diversi livelli: strategia, operazioni e innovazione. La Cina sta diventando un operatore sofisticato, capace di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione nel sistema internazionale.
A partire dal 2020 il Gip accoglie 37 firmatari e 12 sostenitori da quattordici Paesi e regioni di tutto il mondo. I principi sono uno dei molti strumenti e piattaforme efficaci di cui l’Ue e la Cina dispongono per promuovere congiuntamente lo sviluppo verde della Bri; non si tratta solo di trovare modi per identificare e ridurre i rischi legati al clima, ma anche di creare meccanismi di incentivo per far crescere gli investimenti in industrie rispettose del clima. Biden ha impresso subito una chiara direzione di marcia volta a colmare il ritardo accumulato dal sistema industriale americano nelle tecnologie per la transizione ecologica.
Significativa in questo senso è la decisione, contenuta nel primo ordine esecutivo del presidente all’inizio del suo mandato, di sospendere per 90 giorni il divieto, voluto da Trump, di importazione e installazione di attrezzature per Bulk power systems (Bps), prodotte e fornite da avversari stranieri, in primis la Cina. L’ordine, che era passato quasi inosservato, segnala che l’amministrazione potrebbe aprire le porte alla cooperazione tecnologica anche con l’arcinemico cinese, ove necessario per combattere il cambiamento climatico.
Grazie alle tecnologie attuali l’aumento dell’efficienza energetica e il deployment su grande scala delle rinnovabili (vento e solare in primo luogo), possiamo ridurre le emissioni globali del 90%. Dall’attuale 16%, le rinnovabili dovranno raggiungere due terzi dell’approvvigionamento di energia primaria nel 2050, con un ritmo di crescita sette volte superiore a quello registrato tra il 2010 e il 2015, (dallo 0,17% all’1,2%) per ogni anno da qui al 2050 (fonte: Irena). La buona notizia è che per circa due terzi dell’energia totale sono disponibili soluzioni economiche e scalabili. La cattiva è che procediamo a passo di lumaca. I tassi di utilizzo e dispiegamento delle energie rinnovabili, in particolare nei settori di uso finale (trasporti, industria ed edifici) crescono troppo lentamente.
Un prossimo passo necessario è lo sviluppo delle normative internazionali in senso favorevole alla diffusione delle rinnovabili. Circa un terzo delle emissioni clima alteranti provengono da settori in gergo conosciuti come non facili da abbattere. In questi ambiti stanno emergendo nuove opzioni tecnologiche, oggi non ancora mature. Nell’industria dell’acciaio l’Europa è leader nell’innovazione dei processi. La svedese Saab e l’italiana Tenova (gruppo Techint), ad esempio, lavorano su impianti con processi innovativi, come Forno elettrico ad arco (Eaf), l’utilizzo degli scarti e, soprattutto, la riduzione diretta del ferro (Dri) con idrogeno verde.
La chiave di volta è comunque un adeguato aumento della capacità di produzione di elettricità rinnovabile. Le tecnologie per rimuovere la CO2 dall’atmosfera non sono tecnicamente mature né affidabili. Il successo della transizione energetica non dipende tanto e soltanto dall’innovazione tecnologica, ma soprattutto dall’innovazione dei sistemi di governo e regolazione dei mercati. Le giuste misure politiche, finanziarie e sociali di riforma sono essenziali per creare percorsi economicamente praticabili per la transizione energetica e la decarbonizzazione delle economie mondiali. Prima dei breakthrough tecnologici conta l’innovazione di sistema. Agire oggi è infatti una necessità.