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Putin tra Ucraina e pandemia. Tornano i falchi a Mosca?

Di Vincenzo Ligorio

Il discorso di Vladimir Putin all’Assemblea federale russa segna un ritorno della politica nelle mani del presidente e il rilancio del suo partito in vista delle elezioni. Svolta anche sugli esteri: in Ucraina e non solo, il rischio di una overreaction russa è altissimo. L’analisi di Vincenzo Ligorio, professore di Relazioni Internazionali all’Accademia presidenziale per la funzione pubblica di Mosca (Ranepa)

Nella liturgia politica della Russia post-sovietica pochi sono gli appuntamenti che attirano l’interesse insieme di osservatori politici nazionali ed internazionali. Tra questi, importante al pari del saluto di fine anno, c’è il discorso di indirizzo alle autorità federali da parte del Presidente.

Nato per iniziativa di Boris Eltsin, è appuntamento di prassi non regolamentata con il compito di segnare il passo dell’iniziativa politico-amministrativa del Paese. Quello di quest’anno – 27esimo –  ha una rilevanza politico strategica diversa se comparato con i precedenti.

In linea temporale si colloca ad un’anno esatto dallo scoppio della pandemia globale e tra altri due appuntamenti chiave per l’impatto sulle posizioni di politica interna ed estera del Cremlino: l’elezione di Joe Biden e le imminenti elezioni parlamentari russe che si terranno a settembre 2021.

Ed è proprio sul solco di questi che Vladimir Putin ha incardinato il suo discorso; recap della gestione pandemica, questioni di politica domestica, politica estera.

La prima parte del discorso – di quasi un’ora e venti minuti – si è pressocché concentrata sui risultati conseguiti nella lotta alla pandemia non solo dal punto di vista della capacità di arginare la diffusione del virus ma evidenziando la capacità di reazione  in tutti i settori dal campo medico scientifico a quello dell’istruzione, evidenziando come la Russia quando in difficoltà è capace di compattarsi e rimanere unita per il bene dello Stato, quasi a mandare un messaggio anche all’esterno.

Se l’incipit solidarizzante con le fascie più coinvolte nella lotta al Covid ha avuto la parvenza di un atto docuto, il proseguio rappresenta un chiaro ritorno del primato della politica nelle mani del Presidente, di fatto (ri)prendendo le redini del partito di governo – Russia Unita – ed allontanandosi da quel percorso di deresponsabilizzazione della figura del presidente  iniziato con l’incarico ad un nuovo governo nel gennaio del 2019 e con il referendum costituzionale del marzo 2020.

La centralità di questa parte ha evidenziato come lo sviluppo del Paese passi da due direttrici. Sviluppo demografico attraverso una serie di misure di welfare aumentando gli investimenti nella sanità pubblica con l’obiettivo entro il 2030 di raggiungere una  aspettativa di vita a 77,8 anni. E conseguente sostegno alla natalità prima e supporto alla crescita poi – con un bonus mensile alle famiglie in difficoltà garantito fino al compimento dei sedici anni.

La seconda direttrice che potremmo definire quasi autarchica, si basa sulla salvaguardia delle radici culturali nazionali – evidenziando le differenze – a l’incentivo al turismo interno e la creazione di nuove professionalita’ per le nuove generazioni con sostegno a progetti tecnologici e centri culturali che tutelino l’identità russa su tutti i campi.

La lista dei programmi di sviluppo e delle località che verrano coinvolgere, lascia trapelare ai più attenti osservatori come il recupero del consenso elettorale  – non del presidente –  del “partito del presidente” passerà tutto sulla creazione di un nuovo esercito di civil servants nelle regioni dove i contenders politici sono riusciti a creare delle frattutre profonte tra sostegno al presidente e voti al suo partito – dinamiche che chi scrive ha avuto modo di spiegare altrove.

L’ultimo passaggio – il ruolo della Russia sullo scacchiere internazionale – anche se di breve durata ha lasciato trapelare su che basi si fonderà la politica estera di Mosca nel breve periodo.

Mettendo in primo piano la centralità degli interessi nazionali e della loro difesa senza condizionalità, il presidente ha dichiarato la propria disponibilità a dialogare con tutti i partner internazionali ma a cooperare “…solo con gli Amici veri” – messaggio rivolto ad alcuni vecchi partners tra cui il governo italiano.

Ma il vero cambio di rotta nella gestione della politica estera lo si percepisce dall’indignazione con il quale ha commentato il piano del colpo di stato in Bielorussia mettendo un accento sul pericolo che episodi del genere rappresentano per la difesa dei confini russi.

Il vero segnale arriva tuttavia quando dichiara che, se ulteriormente minacciata, la Russia risponderà in maniera “… asimmetrica, veloce e dura” accantonando di fatto quella fase di centralità della diplomazia di professione che ha segnato la politica estera russa dalla conferenza sulla sicurezza di Monaco in poi.

Se il ritorno dei falchi quale elite dominante nella politica russa è un’ipotesi o una certezza sarà l’evolversi degli eventi a dircelo. Quello che possiamo dire a discorso concluso è che nel breve periodo il rischio di un overreaction da parte di Mosca è piu che concreta.

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