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La doccia fredda del debito pubblico sul Recovery Plan

La Recovery and Resilience Facility del Next Generation Eu non è né una graziosa concessione all’Italia né un atto di carità dato che il Belpaese è stato tanto severamente colpito dalla pandemia, ma uno strumento essenziale per fare reggere l’unione monetaria. Occorrerebbe, quindi, pensare a una misura strutturale. Ma l’Italia può suggerirlo unicamente se il Pnrr e la sua realizzazione vengono giudicati eccellenti dal resto dell’Ue. Il commento di Giuseppe Pennisi

Mentre in Parlamento e sulla stampa si gioiva per l’invio a Bruxelles del Programma nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), l’Istat ha assolto con puntualità al suo compito istituzionale di rammentarci quanto la Pubblica amministrazione italiana è indebitata.

La sua Notifica dell’indebitamento netto e del debito delle amministrazioni pubbliche secondo il Trattato di Maastricht è, però, passata inosservata sulla stampa d’informazione. Forse, si è temuto che l’Istat portasse via gli alcolici quando i festeggiamenti per il varo del Pnrr da parte del Parlamento (e l’inizio di una lunga strada in salita nelle nebbie di Bruxelles) diventassero troppo allegri.

La Notifica ci rammenta numeri che molti di noi conoscono a menadito: nel 2020, primo anno della pandemia, l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni è stato pari al 9,5% del Pil (rispetto al tetto del 3% previsto dal Trattato di Maastricht e al pareggio strutturale di bilancio previsto dal Patto di Crescita e di Stabilità), lo stock di debito delle pubbliche amministrazioni rispetto al Pil è giunto al 155,8% del Pil (rispetto al 60% previsto dal Trattato di Maastricht) e la spesa per interessi sul debito è stata pari al 3,5% del Pil, la Notifica ha molti altri dati ed analisi, ma bastano questi per avere l’effetto di una doccia fredda.

Si può dire che il Patto di Crescita e di Stabilità è “sospeso” e che quando verrà di nuovo messo in vigore sarà differente dal precedente. Ci sono, però, due aspetti su cui il governo farebbe bene a lavorare alacremente sin da ora.
In primo luogo, sappiamo che da diversi mesi il Commissario preposto agli affari economici e finanziari ha creato “un gruppo di riflessione” su quando e come mettere in vigore nuove regole per la stabilità finanziaria e la crescita nell’area dell’euro. È chiaro a tutti che non si può tornare sic et simpliciter a quelle scritte, e firmate, nel 1997. Le “riflessioni” hanno portato ad una nota che è stata riassunta e commentata su questa testata circa un mese fa. Da allora silenzio. Sono probabilmente in corso i preliminari di una trattativa; quindi, la discrezione regna sovrana.

Tuttavia, senza fare vedere la carte del negoziato, il governo italiano o un suo esponente di livello (ad esempio, il ministro dell’Economia e delle Finanze o il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) potrebbero fare sapere cosa pensano della nota del “gruppo di riflessione”. Lo ha fatto il governo francese indicando anche la propria posizione negoziale: nelle future regole europee si deve introdurre la “golden rule” in base alla quale, a fini contabili, gli investimenti sono scomputati dall’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. L’Italia fa richieste analoghe da anni. Non abbiamo nulla da dire in materia di regole per il debito, ad esempio una lenta discesa se la crescita riprende (come peraltro implicito nell’analisi macro-economica del Pnrr)?

In secondo luogo, ma nel medio periodo di altissima priorità, se i Pnrr vanno in porto bene e vengono realizzati benissimo, a livello europeo si dovrà cominciare ad esaminare se si tratta di un’operazione una tantum o se deve diventare un intervento strutturale e continuativo dell’Unione europea. È fondamentale a riguardo ricordare la “teoria dell’aria valutaria ottimale” formulata e dimostrata dell’economista canadese il Premio Nobel Robert Mundell, che viveva gran parte dell’anno nel nostro Paese, vicino a Siena, dove è morto poche settimane fa. La teoria dimostra che se non c’è libero ed effettivo movimento dei capitali e soprattutto dei lavoratori, una unione monetaria non solo non è un’area valutaria “ottimale” ma soprattutto alla lunga non regge, tranne che non ci siano trasferimenti che riducano la necessità di movimenti dei lavoratori.

La Recovery and Resilience Facility del Next Generation Eu non è né una graziosa concessione all’Italia né un atto di carità dato che il Belpaese è stato tanto severamente colpito dalla pandemia, ma uno strumento essenziale per fare reggere l’unione monetaria. Occorrerebbe, quindi, pensare ad una misura strutturale. Ma l’Italia può suggerirlo unicamente se il Pnrr e la sua realizzazione vengono giudicati eccellenti dal resto dell’Ue.


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