Skip to main content

Perché la sinistra tifa Meloni. La bussola di Ocone

Cosa può fare la destra per rispondere all’offensiva politica della sinistra basata sul classico dividi et impera? Come se ne esce? Prima di tutto, depotenziando un po’ i sondaggi, e la lettura che usualmente se ne dà… La bussola di Corrado Ocone

Nella competizione a destra fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, di cui danno conto in questi giorni un po’ tutti i media, c’è un aspetto alquanto interessante e controintuitivo, che genera riflessioni e pone domande. Potremmo sintetizzarlo così: perché la sinistra, che pur sta nella maggioranza di governo con la Lega, non ha minimamente dismesso l’antisalvinismo, mentre ha cominciato a farsi piacere la leader della destra di opposizione, cioè di Fratelli d’Italia?

Quanto c’è di tattico, e quanto di strategico, in questa che è qualcosa in più di una mera impressione, e vale a dire una constatazione suffragata da fatti concreti: l’incontro cordiale di Meloni con Enrico Letta, il lavoro di sponda per sottrarre alla Lega la presidenza del Copasir, gli attestati di solidarietà ricevuti dalla leader dopo gli insulti subiti dal professore fiorentino, la presenza massiccia di esponenti di sinistra (oltre che dei ministri di più stretta osservanza draghiana) al convegno sulla digitalizzazione, ecc. ecc. Con il paradosso che a sinistra si critica Salvini per avere incontrato, a Budapest insieme a Viktor Orban,  il premier “sovranista” polacco, non considerando però affatto che Mateusz Morawiecki fa parte, come leader del principale partito, del gruppo europeo dei “conservatori e riformisti” (ECR) presieduto da Meloni.

Da un punto di vista sistemico, in verità, non può che essere salutato positivamente il riconoscimento di un ruolo e di legittimità all’unica forza di opposizione: è sicuramente un indice di salute per la democrazia, soprattutto in un Paese come l’Italia ove si è sempre passati facilmente dall’opposizione politica alla delegittimazione morale dell’avversario. E non era scontato, a maggior ragione dopo la scelta fatta da Meloni su Draghi. Eppure, la domanda ritorna: perché accade ciò, e proprio oggi (non mi risulta che Meloni fosse trattata un anno fa troppo diversamente da come veniva trattato Salvini)? Sicuramente c’è in tutto questo molto tatticismo: la sinistra, che nei sondaggi continua ad essere in svantaggio rispetto alla destra, si insinua in ogni piega per dividere l’avversario. E quale piega migliore ci si poteva attendere che non ritrovarsi l’avversario diviso sull’ingresso in maggioranza nel governo di Mario Draghi?

Realizzare una sorta di effetto tenaglia per accerchiare, da destra e da sinistra, colui che è comunque il capo del partito più grande può essere sicuramente vincente da un punto di vista politico, soprattutto se si è impostato retoricamente il discorso insistendo sulle contraddizioni della “svolta” governista della Lega. E in effetti, oggi, se giudicassimo le cose col metro della coerenza formale (che non sempre in verità coincide con quella sostanziale), dovremmo dire che il partito di Meloni è l’unico ad avere in Parlamento le carte in regola. Che poi certe cordialità della sinistra siano sospette, è ancor più evidente se si passa alle politiche concrete: su alcune misure legislative, a cui la sinistra tiene particolarmente, ad esempio la legge Zan, facendone addirittura una questione di “civiltà”, non sembrerebbe che Fratelli d’Italia abbiano una posizione diversa dalla Lega. E anzi, su questo e altri punti, una certa quota di post-ideologismo della Lega dovrebbe in definitiva rendere più agevole il dialogo.

Cosa può fare allora la destra per rispondere a questa offensiva politica basata sul classico dividi e impera? Come se ne esce? Prima di tutto, depotenziando un po’ i sondaggi, e la lettura che usualmente se ne dà: Meloni, in costante aumento insidierebbe, si dice, la leadership di Salvini. Una lettura che, da una parte, dimentica l’estrema fluidità di un elettorato che da qui alle prossime elezioni politiche potrebbe mutare ancora radicalmente le proprie tendenze di massima; e dall’altra, il fatto che, se in questo momento è naturale l’avanzamento della Meloni, che, sola all’opposizione, gode oggettivamente di una rendita posizione,  c’è probabilmente un “punto critico” oltre cui Fratelli d’Italia non può andare. Il che significa che sta più a Salvini stare attento a non perdere voti che a Meloni di conquistarne altri ancora.

L’importante sarebbe allora che il leader della Lega si coltivasse, in un’ipotetica divisione dei compiti, l’area più liberale e produttivistica del centrodestra, quella che un tempo era di Forza Italia ma che in prospettiva è ancora oggi maggioranza fra gli italiani (non tutti lavorano per conto dello Stato, per fortuna!). E sarebbe anche importante che, tutti insieme, i leader del centrodestra mandassero subito messaggi unitari atti a sminare il campo dalle incursioni della sinistra. Perché, ad esempio, rimandare ancora le candidature comuni a sindaco delle grandi città? E perché non provare a stilare un programma di governo per non farsi trovare impreparati quando sarà il caso? Un “tavolo permanente” fra tutti e tre i partiti manderebbe un messaggio univoco all’elettorato, e spegnerebbe all’origine ogni tentativo divisivo.


×

Iscriviti alla newsletter